Giustizia. Siracusa, martedì s’insedia il nuovo Procuratore capo Sabrina Gambino, sarà un’eredità difficile

Il nuovo procuratore capo della Repubblica di Siracusa, Sabrina Gambino, s’insedia martedì 27 agosto. La comunicazione del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia è giunta ieri mattina agli uffici del Tribunale di viale Santa Panagia; il nuovo procuratore capo di Siracusa prenderà possesso del suo nuovo ufficio al quinto livello del palazzo di giustizia lasciando il posto di sostituto procuratore generale a Catania.

La dottoressa Sabrina Gambino subentra al posto dell’ex procuratore capo Francesco Paolo Giordano che nel mese di settembre dello scorso anno è stato trasferito, su propria richiesta, alla Procura generale di Catania. Il nuovo procuratore arriva dopo che l’ufficio della Procura siracusana ha attraversato un periodo di difficili tribolazioni giudiziarie, culminate con l’arresto dell’ex pm Giancarlo Longo, tuttora detenuto nella casa di reclusione di Rebibbia a Roma per scontare una pena definitiva, a seguito di patteggiamento nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Messina e di Roma, denominata “Sistema Siracusa”.

Il procuratore Gambino già nel mese di luglio ha avuto modo di prendere i primi contatti con i magistrati in servizio alla Procura, con il personale della polizia giudiziaria e con quello amministrativo, riceverà il passaggio delle consegne dal Procuratore aggiunto Fabio Scavone che ha retto l’ufficio dal giorno del trasferimento di Giordano a Catania, traghettando, di fatto, la Procura alla nuova guida, trasmettendo fiducia e forza ai sostituti, ai dirigenti, funzionari e impiegati dell’ufficio. Uno dei primi problemi da affrontare è legato alla mancanza in organico di pubblici ministeri. In atto sono in servizio 11 ma ben presto, con il trasferimento del pm Marco Di Mauro alla Procura di Milano, il numero dei sostituti procuratori scenderà a 10 su un minimo tabellare di 13 unità. Su questi magistrati insiste un carico di circa un migliaio di fascicoli a testa e devono fare fronte a un centinaio di processi già arrivati in dibattimento.

La cerimonia d’insediamento avrà luogo martedì mattina nell’aula di Corte d’assise. Hanno annunciato la loro presenza il Presidente della Corte d’Appello di Catania, Giuseppe Meliadò, il Procuratore generale di Catania, Roberto Sajeva, l’avvocato Generale, Carlo Caponcello, e i capi degli uffici giudiziari di tutto il distretto della Corte d’appello di Catania. Il procuratore capo Sabrina Gambino firmerà il verbale d’insediamento davanti al Presidente del Tribunale di Siracusa Antonio Maiorana.

Il nuovo procuratore della Repubblica di Siracusa Sabrina Gambino, 53 anni, originaria di Caltagirone, è la prima donna a guidare la Procura di Siracusa. Tra le tante inchieste e attività d’indagine, ha rappresentato la pubblica accusa al processo contro l’ex presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo.

Sarà un’eredità davvero difficile quella del nuovo procuratore capo di Siracusa. Insistono ancora zone d’ombra e tanti misteri irrisolti. Dopo gli ultimi “Veleni in Procura” e il trasferimento su domanda di due sostituti e del procuratore capo, è iniziato l’iter per la nomina da parte del Csm del nuovo Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa. Sabrina Gambino vanta un curriculum di tutto rispetto con un’esperienza a largo raggio.

Il consigliere Piercamillo Davigo, nel relazionare su quanto deliberato dalla quinta commissione, ha riferito che hanno partecipato al conferimento dell’ufficio direttivo siracusano, vacante dal 20 giugno dello scorso anno con il trasferimento, su richiesta, dell’allora procuratore Francesco Paolo Giordano, 10 magistrati. Oltre alla Gambino, Angelo Giorgianni, Ornella Pastore (che ha revocato in aprile la domanda), Salvatore Leopardi, Valter Brunetti, Agata Santonocito, Antonino Fanara, Maria Pellegrino, Camillo Falvo e Calogero Ferrara.

Sabrina Gambino è in atto sostituto alla Procura generale di Catania. Entrata in magistratura l’8 marzo 1990; dal 13 maggio 1991 è stata sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Caltagirone, dove ha avuto modo di seguire indagini e processi di rilevanza sia con riferimento al tessuto criminale locale, che con riferimento all’associazione mafiosa “storica” del calatino facente capo a Francesco La Rocca, referente della famiglia Santapaola. Ha coordinato le attività d’indagine per un duplice omicidio scaturito da un regolamento di conti per il controllo della piazza dello spaccio del territorio di Palagonia, individuandone gli autori ed reggendo l’accusa nel relativo processo, celebrato contro quattro imputati, che si è concluso per tre di loro con sentenza di condanna Ha svolto un’intensa attività in tema di repressione dell’abusivismo edilizio; dal 18 luglio 2011 sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catania. Ha seguito fino nei giorni scorsi processi di primaria importanza, tra cui quello nei confronti dell’ex Presidente della Regione Siciliana e quello per la revisione del processo “Borsellino” conseguente alla strage di Via D’Amelio.

La nomina del nuovo procuratore capo è arrivata nel mese di maggio, come aveva ipotizzato il procuratore aggiunto della Procura di Siracusa, Fabio Scavone a cui è toccato il compito di traghettare il complicato Ufficio della Procura di Siracusa fino all’arrivo del nuovo capo. Il procuratore Fabio Scavone, in occasione dello scambio di auguri di Fine Anno con la stampa è ricorso al titolo del film del regista Peter Weier, “Un anno vissuto pericolosamente” per descrivere in una battuta il 2018 della Procura di Siracusa. In precedenza, l’8 novembre, in occasione di un’operazione portata termine dalla guardia di finanza di Siracusa, Scavone è tornato sull’inchiesta della Procura di Messina che ha coinvolto quella siracusana per rendere l’idea di quale clima pesante si sia respirato negli ultimi anni al Palazzo di Giustizia di Siracusa: “Nonostante siano stati attraversati periodi oscuri e turbati, c’è da lodare la resilienza dell’ufficio della Procura, che ha saputo operare tra difficoltà ambientali e situazionali”. Il riferimento è alle vicende legate al cosiddetto “Sistema Siracusa”, venute alla luce grazie anche all’esposto presentato da 8 sostituti procuratori in servizio alla Procura di Siracusa. In quell’esposto i magistrati “rappresentano di aver osservato fatti e situazioni così gravi da ingenerare preoccupazione per le sorti dell’amministrazione della giustizia, dovuti a infiltrazioni e interferenze da parte di soggetti portatori di specifici interessi economici e imprenditoriali, tali da condizionare l’attività investigativa e giurisdizionale dell’ufficio in cui gli stessi lavorano”.

La situazione della criminalità nel territorio siracusano. Si può definire silente, ma abbastanza organizzata ed estesa in lungo e in largo. E la condizione più pericolosa rimane il connubio tra le anime del potere. In prima fila la politica e subito dopo la mafia (o sistema mafioso che dir si voglia), quella che arriva dalla vicina Catania e che domina da sempre la scena economica e sociale, oltre a quella da qualche tempo politica, nella provincia di Siracusa. Tale siffatta condizione si conforma nel comparto del traffico di stupefacenti a largo raggio, ben organizzato e a tratti violento. Si registra con progressione la compravendita dei supermercati nella grande distribuzione, così come e nel comparto alimentare con la presenza sempre più insidiosa di commercianti in associazione con la mafia. Un metodo insospettabile mirato al riciclo per incassare in contanti e pagare alla scadenza delle fatture; un circolo vizioso che la magistratura inquirente ha più volte scoperto e fatto piena luce che rimane un nervo scoperto da inserire nel paniere delle inchieste. Nel territorio siracusano si scopre come l’intreccio della corruzione e dell’associazione per delinquere non è limitato al privato, ma si espande nella scena della pubblica amministrazione con i lavori pubblici e le mille consulenze a sfondo politico-elettorale, oltre che e nell’economia sommersa a tutti i livelli. Dulcis in fundo, le pericolose tematiche dell’inquinamento selvaggio nel territorio del Petrolchimico siracusano. L’ultima inchiesta complessa è iniziata con il fascicolo aperto dall’ex procuratore capo Francesco Paolo Giordano e ripresa a largo raggio dal procuratore Fabio Scavone che ha portato all’accusa e all’iscrizione a vario titolo nel registro degli indagati oltre venti persone tra dirigenti, capi reparto e tecnici, oltre al sequestro di diversi impianti.

“Non bisogna essere necessariamente colpevoli per aver paura dei magistrati”, scrive Jorge Louis Borges, e questo perché la Giustizia è fallibile e corruttibile. Il riferimento è alla scena della storia del territorio siracusano che negli ultimi 15anni tiene il banco tra corruzione e tentativi di delegittimare uomini onesti, liberi professionisti, magistrati, imprenditori e a macchia di leopardo tutti i pionieri della legalità. E questo mentre il pianista continua a suonare incurante della tempesta che fuori fa tremare i muri dell’omertà. Veleni che durano da tanti anni; esattamente fin dal 2003 in concomitanza con l’operazione Mare Rosso. Chiamatelo come vi pare, ma il “Sistema Siracusa” è stato debellato grazie alla denuncia dei coraggiosi Pubblici ministeri che firmarono l’esposto contro l’ex Pm Giancarlo Longo, gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore e tutti i dintorni del corrotto sistema. Sono: Antonio Nicastro, Magda Guarnaccia, Davide Lucignani, Salvatore Nicola Grillo, Andrea Palmieri, Vincenzo Nitti, Tommaso Pagano, Margherita Brianese.

I 4 cavalieri dell’Apocalisse ovviamente non bastavano a portare la punizione divina a chi era riuscito a ingaggiare più diavoli che uomini, infestando il palazzo; e così arrivano nel silenzio della notte gli otto eroi togati temerari e determinati a sconfiggere quel mostro sinistro che si era impadronito del potere nel palazzo della Giustizia siracusana liberando dall’assedio della corruzione il volgere fluente dei diritti e dei doveri della società civile.

La corruzione nella società moderna implica il tema della legalità e della trasparenza, concentrando le leve che possono creare un sistema-anticorruzione, ma anche attivare le azioni nel complicato sistema di processi operativi e comportamentali che siano in grado di creare una rete d’integrità per arginare la corruzione dilagante, attraverso l’immunità dovuta a leggi dello Stato troppo permissive.

Senza quella denuncia degli otto magistrati circostanziata con riferimenti, nomi, cognomi, fatti e circostanze, Siracusa, mezza Italia e paesi esteri, sarebbero rimasti succube di un sistema capace di condizionare la Giustizia degli uomini chissà per quando tempo ancora.

La morale nello spazio silente della magistratura italiana, in cui magistrati e giudici sono finiti in manette o indagati, con tanti casi clamorosi di corruzione, che non è di certo la panacea del male estremo. Gli otto magistrati nel “Caso Siracusa” hanno avviato dal loro interno la rivoluzione con un “repulisti” esploso con tutta la sua potenza, senza stupire in un primo momento chi continuava a suonare sorridendo il pianoforte con la musica stonata della presunzione senza accorgersi che il terreno gli crollava sotto i piedi. Nessuno credeva che magistrati, avvocati e i seguaci dell’attività criminale sarebbero finiti in carcere a Siracusa a poca distanza di un altro filone inquietante chiamato “Veleni in Procura” in cui un procuratore e un altro sostituto finirono trasferiti altrove.

L’esistenza ormai di una dilagante questione morale nella società liquida senza il necessario zoccolo duro dei valori anche dentro la magistratura italiana, diventa lo sviluppo degli anticorpi all’interno di una categoria sicuramente nei fatti meno auto-clemente di altre. Non fosse altro per gli interrogativi che la stragrande maggioranza di magistrati, davvero servitori dello Stato e vanto delle classi dirigenti di questa superba nazione chiamata Italia; ma rimane la smobilitante visione del ruolo principale teorizzato dai magistrati fedeli al dovere contro la loro stessa vita, senza mai svendere, svilire o barattare il prestigio necessario per continuare ad amministrare la Giustizia, senza condizionamenti dell’isolato “corrotto” di turno che deve essere subito scoperto e annientato.

Si badi bene. C’è sempre un filo rosso che collega la mafia alla politica attraverso “l’elegante signora” chiamata corruzione. Nella società moderna, così come in politica, la putrefazione della struttura sociale è in crescita; questo attraverso una metodologia originale, che censisce ogni scambio illecito che coinvolge direttamente uomini politici anche all’interno di altri reati, come il concorso esterno in associazione mafiosa, il voto di scambio, ma anche in un quadro della corruzione ad ogni azione nei consigli comunali, regionali, alla Camera e al Senato, oltre che nelle cariche di sottogoverno; tutto si rivela con dettagli interessanti, come la crescita esponenziale di vicende di corruzione alla presenza della criminalità organizzata soprattutto al sud, dove si registra un forte aumento dei reati associativi in cui si annidano vicende di corruzione.

Le alleanze tra la mafia e la politica s’intrecciano ogni giorno e non dipende solo da una diversa strategia repressiva degli organi di contrasto, ma dalla natura stessa della corruzione, che si presenta sempre più organizzata e variegata con altre forme di criminalità, ramificandosi nella società attuale come fosse una regola istituzionale della democrazia.

Il ricambio generazionale, sta affermando un numero sempre maggiore d’imprenditori, mentre crescono le figure di liberi professionisti del malaffare, oltre i vecchi colletti bianchi. I processi di globalizzazione economica e culturale, si sono estese e diffuse su larga scala. Siamo di fronte ad una perversa operazione di criminalizzazione della vita quotidiana, che si avvale di molteplici strumenti e meccanismi economici, sociali, politici, legislativi, così come il regime proibizionista vigente in materia dell’uso della droga, del gioco d’azzardo e via dicendo.

Oggi il confine tra legalità e illegalità è inesistente tra economia reale e la cosiddetta mafia capitalista, inserita nei circuiti finanziari istituzionali in connubio con la politica e la criminalità mafiosa intesa come potere e niente può fermarla, nemmeno il voto di protesta massiccio; occorre cambiare mentalità e debellare la corruzione e il malaffare. Ma sarà davvero difficile ritornare nei canoni della civiltà e della legalità, dopo aver assaporato facilmente il guadagno dei soldi, il piacere del sesso e del potere, che sono ormai le carte da gioco, rimaste sul tavolo del popolo vittima delle lobby del potere che decidono cosa dobbiamo mangiare, fumare, leggere sui giornali o ascoltare in Tv.

Per rimanere nel nostro brodo locale, dopo lo scardinamento di sodalizi criminali creato da vecchi colletti bianchi di cui, secondo fonti giudiziari qualificati, sarebbero rimasti ancora tanti lati oscuri, nella provincia di Siracusa rimane il sospetto che siano numerosi i contatti tra i “facilitatori” con i galloni delegati da menti raffinati in connubio con la politica a più livelli istituzionali. Anche se non si può parlare di mafia nel termine con cui lo stereotipo collettivo definisce il fenomeno, estirpare la mafia, meglio dire il modo di pensare mafioso, è difficile se non impossibile perché fa parte della struttura sociale e culturale del popolo siciliano, come la ’ndrangheta lo è per quello calabrese e la camorra di quello napoletano. Nel tempo il legame tra politica e mafia è divenuto un aspetto essenziale del controllo e della gestione di appalti e dei fondi pubblici. Sfruttando la leva di complicità e omertà, in molti territori dell’Italia corrotta le scelte politiche avvengono spesso per convenienze “mafiose”.

Sono migliaia i casi di consulenti nominati senza alcun motivo, ruolo o necessità, di appalti pilotati in favore di società controllate, da appartenenti alla mafia, o da delinquenti abituali, di speculazioni legati ai piani regolatori comunali, di leggi regionali a favore di talune categorie e via così fino a fondo pagina. Per questo motivo sono sorte alcune leggi antimafia volte a limitare le collusioni, queste leggi provocano ogni anno lo scioglimento di diversi consigli comunali sparsi nel territorio Italiano per infiltrazione mafiosa, ma sono state superate dalla nuova strategia dettata dalla corruzione dilagante. Fatta la legge, trovato l’inganno. L’infiltrazione mafiosa avviene grazie al consenso dei cittadini ignari, sfruttando la leva della disoccupazione e della necessità. In molte aree è tacitamente sfruttato il voto di scambio, senza un’apparente mobilitazione da parte dello Stato, e il territorio siracusano non è immune da questo fenomeno latente.

Il quadro delle presenze criminali mafiose e dei loro collegamenti è più che preoccupante. E accanto alle forme criminali estreme, collegate con le associazioni principi, vi è una criminalità locale meno pubblicizzata e conosciuta la quale, tuttavia, è forte e attiva e rivendica una propria autonomia, una propria soggettività, una capacità operativa con settori d’intervento a ventaglio.

Un pericolo che avanza in silenzio e che a volte non si vuole vedere. La cultura istituzionale parte dal concetto che è l’uomo, il pericolo e non la sua attività. Spesso i tentativi di penetrazione sono molto subdoli, invisibili, e per questo occorre vigilare con la regolare denuncia e tangibilità verso il grave problema sociale, politico, economico.

La mafia è molto attiva in territori nei quali circolano flussi enormi di denaro, possibilità d’investimento e della depurazione del denaro sporco, di coperture, di mimetizzazione dei movimenti con allo sfondo il crimine organizzato, perché effettivamente è nel ricco e florido mondo degli appalti pubblici che la mafia fa i suoi soldi, gli affari, con una copertura a prova di bomba tra connubi.

Le differenze sono sempre vicine. La politica dovrebbe agire con schemi legalizzati dallo stato di diritto democratico, dietro la delega del popolo, mentre la mafia per raggiungere gli obiettivi utilizza la violenza, il condizionamento attraverso la paura della morte, con la naturale tendenza a sostituirsi alla legge dello stato democratico, con l’azione violenta e il prestigio personale dei mafiosi. Organizzati in mandamento, squadra, decina, clan, con la possibilità di diventare partiti politici mischiando i buoni e i cattivi per confondere le idee alla pubblica opinione. Ecco allora la logica. Con i mezzi disponibili si possono raggiungono gli scopi desiderati. Esattamente quello che fa la politica, quindi i politicanti, quando nel chiedere il voto, promettono un posto di lavoro, una licenza commerciale prima negata, o minacciano di colpire nel caso del diniego, la stessa cosa per la provvista del denaro necessario all’attività del gruppo. Il politico, si corrompe e quindi ruba al popolo il pubblico denaro, ricatta e agisce contro o in favore di qualcuno e di qualcosa per un tornaconto personale o di partito o della lobby d’appartenenza, il mafioso con lo stesso identico modo e sistema ottiene lo stesso risultato, estorcendo e ricattando. Si tratta di capire chi per primo ha copiato l’altro, considerato che già nell’Ottocento si faceva buon uso della corruzione e dell’appropriazione indebita del pubblico denaro da parte degli eletti.

Non esiste nessuna differenza nell’organizzare la costruzione di un centro commerciale per speculare sul prezzo del petrolio ad ogni costo, o la per la realizzazione di un gruppo di villette e per raggiungere l’obiettivo si corrompe e si organizza, coinvolgendo pezzi delle istituzioni dello Stato democratico, tradendo la fiducia di amici e compari; o come realizzare il nuovo ospedale su un terreno dove si vuole speculare, pilotando l’appalto verso una società amica degli amici della politica; così come per la realizzazione del nuovo cimitero cittadino, oppure gestire al limite delle leggi l’appalto della raccolta dei rifiuti urbani, la gestione degli asili nido, o pilotare la gara per lo smaltimento dei rifiuti, la gara per il nuovo appalto della gestione idrica e fognante, dell’illuminazione pubblica della città e del sistema semaforico, oppure per la concessione del servizio dei parcheggi pubblici o strisce blu ad amici che contribuiscono alle spese della politica, o come altro vi pare, con l’attività dell’organizzazione di tipo mafiosa al fine di conseguire illeciti guadagni. In entrambi i casi, l’obiettivo è sempre lo stesso, con la differenza che la mafia-politica rischia molto meno in quanto si trova in vantaggio rispetto alla delinquenza organizzata, che agisce senza la copertura, la connivenza, dell’attività cosiddetta politica dall’interno del Palazzo. Ecco perché i consigli comunali a maggioranza di corrotti trovano facilmente i corruttori, mafiosi o anche imprenditori dalla fedina penale integra.

È la logica del controllo del potere che la mafia-politica ha da sempre operato, nella sinottica della scienza sociale di riferimento, con l’applicazione dell’oligarchia nel territorio, fuori dagli schemi di partito o di corrente, ma organizzati come a dei veri clan o cricche che dir si voglia. Oggi lo scenario non è cambiato di molto; si vuole condizionare l’intera attività amministrativa per mettere le mani sui miliardi degli appalti, anche con la violenza, che si distingue dalla ragione, ma che soffoca ogni atto democratico e imprime nel pensiero dell’esecutore la visibilità nascosta, perdendo la necessaria lucidità, come se dopo l’intimidazione, l’obiettivo è stato raggiunto, in una logica disperata che cerca di realizzare con la violenza ciò che si chiama vita democratica, politica.

Ogni cambiamento è un rischio senza le idee di ricerca; conserva chi ha da perdere, ma la critica è l’idea politica degli altri, la rivoluzione è di tutti. È nessuna soluzione rivoluzionaria è senza un passato, un presente e un futuro. Gli schiavi periranno se non si ribelleranno. È chiaro che nessuno vuole accettare questa tesi estrema, ma la logica non è una favola, che anzi vuole guadagnare la posizione che merita nella graduatoria del linguaggio universale nell’era cosiddetta moderna. Nessuno accetterà mai tale siffatta condizione, poiché insiste il naturale coinvolgimento di una buona parte dello Stato democratico con i sui molteplici pilastri istituzionali, obiettando che così ogni istituzione potrebbe essere dichiarata mafiosa. In fondo alla fine forse è proprio così.

Su tutta la delicata materia, da parte delle istituzioni, dopo la ricerca sul campo e nel clima generale, sono stati ravvisati profili di rischio elevatissimi per la democrazia; diventa una sfida nel momento in cui uomini eletti dalla volontà popolare nella maniera inversa diventano mafiosi. Emerge una crescente insofferenza da parte della mafia-politica per l’impegno con cui la magistratura inquirente porta avanti i profili investigativi contro molti rappresentati istituzionali sospettati di fare il “doppio gioco”, compreso il prestanome di turno. Una pariglia che si configura come un’alleanza con la mafia, la ndrangheta e la camorra, la lobby della politica organizzata, per gli aspetti silenti in cui appare relegata in maniera sospetta. Il terreno di gioco si sposta sul piano apertamente politico istituzionale, con la concussione diretta di buona parte di dirigenti, tecnici e impiegati della pubblica amministrazione, dove è identificata l’enorme fetta di corruzione denunciata da qualche tempo dalla magistratura contabile oltre che da quella inquirente. Oggi la mafia-politica è, nei fatti pratici, la più potente delle lobby in campo per il controllo del potere economico, politico e sociale; inoltre ha fiducia popolare e ha costruito il suo impero all’ombra della legalità, dall’interno del Palazzo del potere, alterando il tessuto sociale e culturale, divenendo a sua volta sub-cultura per l’intera pubblica opinione, specie in Sicilia, in Calabria, in Puglia e in Campania. Ma Roma rimane la sede naturale, la capitale, oltre che dell’Italia democratica, anche della mafia-politica.

L’attacco alla magistratura è stato da sempre sviluppato convenientemente dai capi dei partiti politici e dai propri uomini più fidati; questi ultimi più per prosseneta condizione che per mera attività politica, e come una cassa di risonanza si è amplificata fino a farla diventare apparentemente veritiera (acculturamento di massa), riuscendo a convincere buona parte della pubblica opinione, specie tra quelli che hanno qualche pendenza con la giustizia penale o civile, fino a diventare un tormentone nazionale, e alla progressiva metastasi in tutte le regioni d’Italia e finanche all’estero.

La magistratura a volte non ha reagito nei termini politici in cui la risposta è il campo naturale, come nel “Caso Siracusa” avvolgendo e trattando caso per caso, come se non fosse una diffusione del fenomeno a livello generalizzato ma bensì isolato. Per fortuna non tutta la politica è lì a reggere questo sinistro gioco. Si trova una buona maggioranza dei politici nel fronte diametralmente opposto; quindi non tutta la politica è corrotta, ma il condizionamento dell’appartenenza alla “casta” è ancora forte.

L’importanza del coraggio su tutti i fronti è necessaria nel momento in cui si vuole annientare il fenomeno mafioso, anche con il cambiamento delle regole del gioco al massacro, registrato più volte e a tutti i livelli istituzionali. Il coinvolgimento di uomini della politica in appalti e nel controllo di settori vitali di una buona parte della società economica italiana, sono fattori di rischio da non sottovalutare. I politici condannati per l’attività del concorso esterno in associazione mafiosa, sono diventati davvero tanti, troppi, e tutti di primo piano nello scenario politico sia meridionale e sia settentrionale. La Sicilia rimane, purtroppo, al primo posto nella graduatoria. Tanti quelli scoperti e condannati, ma molti di più sono quelli che rimangono in attività e con tanta forza di potere politico-mafioso ancora in mano. Il fenomeno della mafia-politica rimane un reale pericolo per le istituzioni democratiche. Si tratta di capire chi deve essere il giudice terzo tra due poteri forti delle istituzioni: la politica e la magistratura.

Il conflitto è sempre più emergente per le competenze e i poteri istituzionali messi in discussione da parte di chi attraverso l’organizzazione della mafia politica controlla il potere per rubare il pubblico denaro. Ma l’antimafia è un’altra cosa. Ovviamente, quella vera!

La corruzione nella società moderna così come in politica è in crescita, attraverso una metodologia originale, che censisce ogni scambio illecito che coinvolge direttamente uomini politici anche all’interno di altri reati, come il concorso esterno in associazione mafiosa, il voto di scambio, ma anche in un quadro della corruzione ad ogni azione nei consigli comunali, regionali, alla Camera e al Senato, oltre che nelle cariche di sottogoverno; tutto si rivela con dettagli interessanti, come la crescita esponenziale di vicende di corruzione alla presenza della criminalità organizzata soprattutto al sud, dove si registra un forte aumento dei reati associativi in cui si annidano vicende di corruzione.

Concetto Alota

 

 

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