Nel giorno della Liberazione, una risposta netta e chiara alla politica-affaristica criminale

 

Oggi è il giorno della Liberazione. Un fatto storico davvero importante. Ma la dilagante corruzione che si registra ogni giorno e i processi ai politici, che stanno alla base degli avvenimenti di cronaca, tende a considerare nella libertà ritrovata, l’uomo come soggetto passivo, negativo, che subisce e che non crea; cosa ancora più grave, che riduce la sua funzione sociale della politica a ipotesi, con tutti i suoi fanatismi e le sue giustificate incomprensioni, rendendo gli uomini estranei ai processi politici e non partecipi, abulici. La politica non può ridursi a semplice denuncia all’autorità giudiziaria, poiché richiede lo stimolo continuo degli uomini che vi partecipano, e non può perciò non essere il senso che l’uomo dona alla propria esistenza e non al ladrocinio della cosa pubblica e niente di più. Altrimenti saranno i magistrati a decidere al posto della politica.

Le accuse che spesso si muovono contro questa visione di fare politica sono tutte riconducibili all’invadenza, che le teorie hanno nel campo dell’individualità delle persone. E il caso degli scandali del momento, che hanno rivoluzionato e condizionato la politica fino a renderla più trasparente e libera grazie alle notizie pubblicati dai giornali e dove il popolo sovrano ha costatato come stanno esattamente le cose, e per certi aspetti la risposta della maggioranza dopo il primo effetto degenerante è stata la negazione della verità, perché, politicamente, si vuole far finta che non è successo niente; negare per rimanere nel vago. Non si vuole dare l’importanza all’associazionismo politico-imprenditoriale, che genera proseliti e libertà di azione, ma si vuole caratterizzare politicamente che ciò non può prescindere dalla sfera emotiva e ancor prima etico-morale in democrazia.

La politica non può essere vista come una negazione dell’azione associazionista, che, tra l’altro, finirebbe con il non riconoscere le vittorie storiche della denuncia collettiva in quando tale, e per la quale abbiamo sentito fin troppo parlare in questi giorni di cricche e di organizzazione criminale per l’accaparramento dei soldi pubblici, di speculazioni di terreni, di traffico d’influenze e tutto il resto. Un’organizzazione criminale politico-imprenditoriale votata alla conquista del potere con ogni forma di pressioni e ricatti. Che la politica sia il mezzo che rimarca la fine di un determinato progetto politico, non certo, il mezzo per raggiungere una divina e universale condizione, quanto inconsistente moralità, è vero. Tutti si battono per fini imminenti, in molti casi anche condivisibili; i limiti di questi movimenti organizzati alla conquista del potere ricattando e rubando, sono l’incapacità di organizzare le singole battaglie in un progetto politico sano di partiti disciplinati dalla democrazia, e non con una visione ridotta alla mera condizione di potere. L’esplosione dei casi giudiziari riguardanti la nostra classe politica ha generato nell’opinione pubblica un’aggressiva retorica moralista e giustizialista, che non permette di superare un’impostazione politica ben precisa e riconducibile oggi alla realtà. La politica e i partiti sono il solo strumento che i ceti più umili hanno per esprimere la propria condizione di subalterni.

Oggi i clan politici-affaristici-criminali si sono organizzati di tutto punto. Il dovere della politica è di rendersene conto e di ammettere il proprio coinvolgimento, insieme ai limiti del proprio falso moralismo e della propria confusa superiorità morale. E’ esattamente quello che è successo, dove la rappresentazione di un sistema politico-imprenditoriale confuso e accomunato dagli stessi interessi, provoca seri danni alla democrazia e all’economia; ma nello stesso tempo la politica non può essere espressione di soggetti caratterizzati dal solo interesse economico, vittima di una profonda e inutile inconsistenza decisionale e progettuale che naviga nel mare della corruzione. Il mancato sviluppo dell’economia territoriale non può essere una colpa meramente imprenditoriale e la politica non può e non deve rimanere sorda. I partiti oggi gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni della gente; ma la domanda è se questa politica, frutto della rivoluzione dettata dalla “Liberazione” dal nazi-fascismo debba o no avere rapporti con gli interessi degli imprenditori fino a renderli in una consacrata comunione dei beni dal voto del popolo. Tali rapporti devono costruirsi e mostrarsi alla luce del sole, e che non va mai annullata la distinzione tra chi deve decidere nella condivisione generale e chi difende gli interessi e le convenienze dei singoli privati. E la scelta deve essere netta e chiara.

Concetto Alota

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