Siracusa. Ancora fuoco ad un’attività commerciale: estorsioni e usura, ma nessuno denuncia

Siracusa. Si registra ancora un incendio in un’attività commerciale in pieno centro cittadino. Il fuoco stavolta ha danneggiato una macelleria in via Alessandro Specchi. Le fiamme si sono sviluppate all’ingresso dell’esercizio commerciale nel rione di Bosco Minniti. I vigili del fuoco sono arrivati sul posto ed hanno spento il fuoco; i primi rilievi sono stati eseguiti dai tecnici della polizia scientifica; sull’accaduto indagano gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Siracusa. Tanti dubbi sulla matrice dolosa dell’incendio anche se sono in corso le indagini per approfondire quanto accaduto. Sul fenomeno incendi, quello che è sicuro sono le poche o niente denunce di estorsioni e della pratica dell’usura, che sono i filoni tradizionali più redditizi, insieme al traffico della droga; sono gli affari di sempre dei clan malavitosi nel territorio siracusano.

Un fenomeno che colpisce le aree economicamente più esposte. Le più colpite le piccole e medie imprese, così come i comuni cittadini, vittime dei furti d’auto e in abitazioni, in cui spesso insiste il sistema del “cavallo di ritorno. C’è poi l’usura, che spesso è correlata alle pratiche delle estorsioni e alimenta il sistema parallelo di finanziamento e di riciclaggio dei capitali illeciti. Inoltre, insiste l’infiltrazione della mafia nei sistemi economici legali. Ristoranti, bar, farmacie, forni, paninerie, supermercati, pub e attività commerciali in genere i difficoltà, passano di mano diventando proprietari persone indicate dai fornitori che hanno dato credito a prezzi (tassi) altissimi, strozzando i malcapitati che, il più delle volte, rimangono a lavorare nell’esercizio commerciale in qualità di dipendente per ‘esperienza acquisita, ma anche per gli accordi presi nella cessione d’azienda. Esistono nell’ambiente malavitoso, i cosiddetti facilitatori, quelli che un tempo erano “l’amico buono”. Personaggi ormai “in pensione” che vengono chiamati per “sistemare le faccende” in maniera amichevole, ogni cosa, senza limitazioni.

Un passo indietro per capire che non è cambiato nulla; nella buona sostanza tutto si svolge nello stesso modo. Nel motivare la sentenza di proscioglimento dei 4 cavalieri del lavoro (Costanzo, Graci, Finocchiaro e Rendo), il giudice istruttore di Catania, Luigi Russo, scrisse il 29 marzo 1991: “Il rapporto che si viene a creare con la protezione (…) è abnormemente assimilabile al contratto assicurativo; l’abnormità sta nel fatto che la fonte del rischio è costituita dallo stesso assicuratore (…) Di fronte a siffatto devastante fenomeno le imprese siciliane hanno certamente reagito. Ciascuna a modo suo, secondo soluzioni suggerite da peculiari circostanze o da scelte di fondo operate dai titolari delle stesse. Non si può escludere che taluno degli imprenditori per risolvere il problema alla radice, abbia ritenuto utile affiliarsi esso stesso alla mafia o aderirvi di fatto. In altri casi, e sono la maggioranza, l’imprenditore ha scelto una via di non conflittualità con l’organizzazione criminale, secondo schemi e parametri operativi non sussumibili in tipologia predeterminate, genericamente individuabile nell’accettazione del “contratto di protezione”.

Negli ultimi anni, anche in presenza della pesante crisi economica che ha portato gran parte delle attività economiche ai limiti della sopravvivenza, sembra essere ancora estesa la tecnica delle richieste di “pizzo” con “tariffe” più ridotte, ma al contempo estese anche a piccole attività, in modo da ridurre la pressione e sconsigliare il ricorso alla denuncia agli organi di polizia. La criminalità organizzata ha esteso a tutte le proprie attività mettendo in atto un basso profilo per non destare allarme sociale e, quindi, costringere, le istituzioni ad attività di prevenzione più attenta e la presenza massiccia sul territorio.

Negli anni ‘90 qualcuno ha cominciato a denunciare e ad aiutare altri e da quel momento sono nate le associazioni antiracket-antiusura, la stimolo maggiore si è avuto a Palermo, a Catania, ma la maggioranza degli imprenditori ha preferito continuare a pagare. I cittadini preferiscono tacere nonostante sappiano che non potranno più uscirne, perché a loro volta dovranno accettare il contratto dell’usuraio e non ci sarà più possibilità di riscossa. Sul fenomeno estorsivo in provincia di Siracusa, si evidenzia come l’estorsione rappresenta ancora oggi per la criminalità mafiosa un’attività di sicuro rispetto a quello degli altri mercati cosiddetti “illegali”, come la droga, le truffe, i furti su commissione e tanto altro ancora. Tale fenomeno presenta un forte radicamento in alcuni contesti territoriali specifici ove si riscontra uno stretto legame tra i gruppi criminali e le aree circostanti.
Nella città di Siracusa tale legame simbiotico si ritrova nei quartieri più antichi e periferici, dove è maggiore il disagio sociale, il degrado e la microcriminalità. Per quanto riguarda le forme dell’attività estorsiva, il pagamento mensile di una certa somma di denaro, il tradizionale “pizzo” non è che uno dei tanti modi di sottrazione delle risorse all’azienda trovandosi ormai consolidate altre tecniche di estorsione, quali ad esempio l’offerta dell’imprenditore estorto di prestazioni o di merci a titolo gratuito, la cessione di contratti di appalto ad imprese “sporche”,  l’assunzione di dipendenti su segnalazione dei mafiosi, cambi di assegni postdatati. Molti commercianti preferiscono pagare un piccolo “pizzo” piuttosto che una grossa somma alle assicurazioni con contratti in cui è sempre il cliente a subire, compresa la revoca della polizza senza motivo, ma solo perché è una vittima del racket delle estorsioni.

In tutto il territorio siracusano, il fenomeno delle estorsioni rimane sotto traccia, in cui è sempre tenuta alta l’attenzione e l’invito delle forze di polizia a denunciare. Estorsione e usura, sono i reati socialmente preoccupanti la cui portata è difficile da rilevare. Emerge spesso solo a seguito di indagini complesse, prolungate, approfondite, per via della forza intimidatrice della criminalità organizzata. Le organizzazioni criminali sono la principale forma del controllo territorio sud del siracusano; canale privilegiato per infiltrarsi nell’economia legale. Attraverso le estorsioni, i clan raggiungono due obiettivi: il controllo di tutto ciò che sul territorio ha valenza economica, ma soprattutto fa percepire alla popolazione residente la propria sinistra esistenza. La sequela di attentati conferma la preoccupazione delle tante associazioni antiracket così come di commercianti, imprenditori e delle forze dell’ordine. Per l’intimidazione di solito il racket utilizza bombe rudimentali o il fuoco in maniera plateale.

Dopo una pausa, la recrudescenza criminale ha ripreso la sua folle corsa verso una nuova stagione di terrore tra la gente. I vecchi e i nuovi clan mafiosi siracusani si stanno riorganizzando, costituendo un solo grande gruppo di lavoro, inserendo nel nascente sodalizio criminale anche nuove e giovani leve. A prendere in mano l’eredità, i figli dei vecchi boss deceduti o in carcere con condanne che vanno dai 20anni all’ergastolo e nuovi aspiranti in corso di formazione. La Direzione distrettuale antimafia di Catania, competente per territorio, ha da qualche tempo indirizzato diversi filoni d’inchiesta sui nuovi sodalizi criminali operanti nella provincia di Siracusa con una serie di operazioni anticrimine. Secondo gli inquirenti, ci sarebbe una sorta di consorteria, ritenuta responsabili a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al racket delle estorsioni, ai furti e alle rapine, alle truffe, così come al traffico delle sostanze stupefacenti. La prima parte dell’attività investigativa, oltre che dell’apporto di collaboratori di giustizia, ha svelato l’operatività a Siracusa dello storico clan Bottaro-Attanasio. Infatti, secondo il rapporto della Dia, nel territorio siracusano i gruppi di riferimento, contrapposti ma non in lotta per ridurre la vulnerabilità, stanno cercando un accordo suddividendosi i settori d’interesse per le attività malavitose a largo raggio. Sono: il Clan Nardo, legato alla famiglia mafiosa catanese di Nitto Santapaola, nei territori di Augusta e Lentini. Il Clan Aparo, sempre legato a Nardo, nei territori di Solarino e Floridia. Lo storico Clan Linguanti, espressione del cartello mafioso malavitoso Aparo, Nardo, Trigila e da qualche tempo con i “nuovi arrivati”, nella zona di Noto, Avola, Pachino e Rosolini. A Siracusa città, le zone d’influenza malavitosa rimangono due: nella parte nord è attivo il clan di S. Panagia riconducibile al cartello Aparo, Nardo e Trigila, mentre nell’isola di Ortigia esercita la propria influenza, il clan Bottaro-Attanasio, con le sue articolazioni e cioè il vecchio gruppo della Borgata e di Via Italia.

La discesa in campo con l’allargamento dell’attività delittuosa con estorsioni e condizionamenti anche di uomini della politica sotto la campagna elettorale delle regionali, oltre che al mercato della droga, è orientato all’attività estorsiva a tappeto, dove pagano poco ma tutti, rispetto al ricco passato. Estorsioni che nella maggior parte dei casi non sono denunciate, come confermano alcuni ambienti dei commercianti. Le somme richieste sono pagate a vista.

L’allarme di una nuova recrudescenza dei clan siracusani è stato lanciato più volte dalla Direzione nazionale antimafia. I sodalizi colpiti dalla crisi si stanno riorganizzando anche a Siracusa così come nel resto della Sicilia. Il peggioramento dell’economica ha colpito anche i clan malavitosi. I guadagni si sono affievoliti e costringono i reggenti rimasti in campo a tagliare i costi. Gli stipendi destinati alle famiglie dei carcerati hanno subìto una riduzione del 50% e a volte il pagamento non arriva o ritarda di mesi. Il colpo di grazia è arrivato con i copiosi sequestri di droga e gli arresti dei tanti “lavoranti” che negli ultimi ventiquattro mesi hanno raggiunto cifre milionarie e interessanti per i bilanci dei gruppi malavitosi, decimando nel frattempo gli uomini in campo che operano nell’intera provincia di Siracusa. Di contro è ripresa copiosa l’attività degli attentati a sfondo estorsivo e secondo i carabinieri, la polizia e la guardia di finanza, l’attività di contrasto è necessariamente destinata a rafforzarsi con l’impiego di uomini e mezzi. E non sono mancati spinti dalla fame i casi di pentitismo. Diversi “gregari” di livello minore, detenuti per associazione mafiosa, hanno deciso di collaborare con la Giustizia perché abbandonati al loro destino dal gruppo d’appartenenza insieme alle rispettive famiglie.

Le difficoltà a mantenere i carcerati a lunghe detenzioni e i familiari sono la vera piaga che costringe a nuove strategie con la parvenza della legalità, come l’attività imprenditoriale in appalti pubblici, servizi in concessione e la richiesta di “contributi”, un tantum, ai candidati per il rinnovo del parlamentino siciliano e a seguire per tutte le consultazioni elettorali da venire. Nemmeno la crisi economica è riuscita a dissuadere i clan criminali dall’avanzare pretese estorsive nei confronti delle proprie vittime. Sarebbe un segnale di debolezza, quindi da evitare. Al più, i clan tollerano pagamenti “a rate” e nemmeno necessariamente in denaro (come l’ingresso come “soci” nelle società della vittima). In alcune indagini è addirittura emerso come alcuni estorsori, non riuscendo ad ottenere il pagamento ed evitando ripercussioni fisiche sulle vittime, siano giunti a chiedere agli stessi di ammettere, in pubblico e nelle proprie cerchie, di aver comunque ceduto.

Esiste tutto un supermarket dell’estorsione, dove le somme riscosse possono servire al pagamento delle spese legali per gli affiliati, ad aiutare le famiglie dei detenuti in carcere, o a finanziare eventi sportivi, feste e addirittura manifestazioni religiose; la Dia definisce tutto ciò un “perverso assistenzialismo”, un prospetto di dipendenza i cui destinatari hanno un reddito certo.

L’estorsione non costituisce soltanto un profitto e un approvvigionamento dei propri affiliati, ma rappresenta soprattutto uno dei banchi di prova per misurare la supremazia del clan su un determinato territorio, testare la fedeltà di esattori e cassieri, valutare l’efficienza delle nuove leve tratte spesso dai ranghi della micro-criminalità, il recapito delle richieste di denaro, l’esecuzione di rappresaglie.

Esiste un filo diretto tra la pratica estorsiva e l’opportunità di riciclare ingenti quantità di denaro. Secondo la Dia è quest’aspetto ad aver determinato la fortuna di queste attività nelle strategie mafiose, soprattutto in una situazione in cui le organizzazioni mafiose diventano imprenditrici e assumono il controllo di interi assetti societari.

Concetto Alota

 

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