Il tribunale del riesame: nessuna prova che volessero uccidere il giornalista Borrometi

Il Tribunale del riesame ha reso note le motivazioni poste alla base dell’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Catania nei confronti di Aprile Giovanni, 39 anni di Portopalo, accusato di minaccia a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato e detenzione e porto di materiale esplosivo, reati tutti aggravati dalla circostanza di avere agito con metodo mafioso e di avere agito al fine di favorire il clan Giuliano di Pachino.
In esecuzione dell’ordinanza, il 10 aprile scorso, Giovanni Aprile  fu tratto in arresto e condotto presso il carcere Bicocca di Catania, per poi essere scarcerato venti giorni dopo, su richiesta del proprio difensore Avv. Giuseppe Gurrieri.
Insieme con lui, furono arrestati gli altri indagati  Giuseppe, Simone e Andrea Vizzini, posto agli arresti domiciliari. I fatti risalgono al Dicembre 2017, quando una bomba rudimentale fu fatta esplodere sotto l’autovettura dell’Avv. Adriana Quattropani, curatore fallimentare in una procedura concorsuale del Tribunale di Siracusa che agiva appunto su ordine del Giudice del fallimento.
Il Tribunale del riesame di Catania, V sezione penale, ha ritenuto di escludere la partecipazione di Aprile Giovanni agli eventi occorsi lo scorso Dicembre, perché “il suo coinvolgimento, a titolo di concorso nell’azione delittuosa, non risulta sufficientemente provato, neppure a livello di gravità indiziaria, dagli elementi riportati a sostegno della contestazione”.
Lo stesso Tribunale ha anche ritenuto di precisare che in merito alla contestazione mossa all’Aprile, circa il presunto pedinamento dell’avv. Quattropani mentre era a bordo dell’autovettura Tiguan su cui viaggiava, è da ritenersi un elemento del tutto neutro, specie in considerazione del fatto che il percorso dell’autovettura su cui viaggiava l’Aprile, così come ricostruito dal personale del Commissariato di P.S. di Pachino è incompleto, atteso che dai medesimi filmati allegati agli atti si vede in maniera incontestabile che il veicolo dell’Aprile percorre per la quarta volta la via Indipendenza di Pachino, in direzione opposta rispetto a dove sono avvenuti i fatti, oltre dieci minuti prima della deflagrazione, per non fare più ritorno, come eccepito dalla difesa dell’Aprile Giovanni con la produzione di un fotogramma estrapolato da uno dei filmati.forniti agli inquirenti dalle forze dell’ordine, ma mai indicato nelle informative di reato trasmesse alla Direzione Antimafia di Catania.
Il Tribunale del riesame, analizzando la posizione degli altri indagati, si è anche soffermato sulle contestazioni mosse in merito alla aggravante mafiosa.
Il Gip etneo, sposando la tesi del P.M. della DDA di Catania, aveva scritto nell’ordinanza cautelare di ritenere il comportamento degli indagati, come un comportamento tipicamente mafioso, aggiungendo che altresì le azioni poste in essere erano direttamente finalizzate ad agevolare l’associazione mafiosa denominata Clan Giuliano, territorialmente collocata a Pachino, spingendosi al punto di ipotizzare un piano omicidiario ai danni del giornalista Paolo Borrometi, da parte del Vizzini Giuseppe, su consiglio del presunto boss locale Salvatore Giuliano.
Le conclusioni a cui era giunto il Gip etneo avevano sollevato una enorme scia di vicinanza e solidarietà da parte dei rappresentanti di tutte le pubbliche istituzioni locali a nazionali, le più alte cariche dello Stato, i rappresentati dei partiti politici, delle associazioni antimafia e delle associazioni di categoria della stampa italiana e pochi giorni dopo pure il Santo Padre, Francesco Papa, tutti si erano dichiarati a fianco del giornalista, nella errata convinzione che questo fosse stato oggetto di un attacco diretto da parte di soggetti appartenenti a sodalizi mafiosi che discutendo tra di loro dicevano in una prima conversazione “fallo ammazzare” o parlando in una seconda conversazione captata in ambientale, dell’intenzione di coinvolgere soggetti della mafia catanese per uccidere il giornalista Borrometi, dicendo testualmente la frase “Bum, a terra”, preannunciando il ricorso a gruppi di dieci, sei, cinque persone, a bordo di auto rubate, debitamente armate e occultate nel territorio, pronte ad agire mortalmente nei confronti del giovane giornalista siciliano, preannunciando esplicitamente una “mattanza”, poi giornalisticamente intesa come la contemporanea uccisione di Borrometi e degli uomini della sua scorta.
Il Tribunale del riesame invece ha ritenuto di non avere rinvenuto alcuna prova o per meglio dire “supporto indiziario” tale da consentire di ritenere sussistente l’aggravante mafiosa nell’accezione finalistica di avere favorito il clan Giuliano, i Giudici del riesame hanno poi precisato che “secondo il Tribunale, non sussistono elementi comprovanti l’esistenza di una finalità agevolatrice del clan Giuliano nella condotta tenuta dagli indagati“.
In altre parole viene considerato il comportamento degli indagati, come astrattamente mafioso ma non finalizzato a potenziare il prestigio e l’onore del clan Giuliano di Pachino, ritenendo che analizzando la frequentazione tra l’indagato Vizzini e Salvatore Giuliano, ci sia “assenza di aspetti penalmente rilevanti di tali rapporti di contiguità”.
“Al di la delle polemiche – afferma l’avv. Gurrieri –  da cittadino pachinese provo un forte sollievo e molta soddisfazione  nel potere affermare che nessun mio conterraneo ha mai programmato, organizzato nè mai nemmeno desiderato l’uccisione del giornalista Paolo Borrometi e ciò posso dirlo per avere attentamente letto gli atti e con il conforto del Tribunale del riesame che ha del tutto disatteso il contenuto della prima conversazione – quella in cui il Giuliano pronunciò la frase “fallo ammazzare” – decidendo di non citarla nemmeno tra le conversazioni utili sul fronte accusatorio, riportandola così implicitamente al suo contenuto reale e cioè nel senso di dire che faccia quello che vuole “a te che c… ti interessa.”
Per la seconda conversazione poi, il Tribunale del riesame ha ritenuto che si trattasse di qualcosa che non coinvolgeva in prima persona gli indagati ma di un riferimento “alle parole di una terza persona che aveva programmato di far venire dei malavitosi […] per eliminare qualcuno considerato scomodo […]”escludendo così ogni diretto riferimento al giornalista Borrometi.

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