Meloni contro Canfora, anatomia di una querela

Rubrica di cultura, attualità e politica. A cura di SALVO GERMANO

In questi giorni, tanta eco riscuote nel dibattito pubblico, e nei maggiori quotidiani italiani, il caso di Luciano Canfora, professore emerito dell’Università di Bari, storico, filologo, notoriamente intellettuale di sinistra, querelato dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla quale si riferisce, con la definizione di “neonazista nell’animo.”

Tale definizione fu pronunciata arditamente, in un incontro, che lo storico, tenne con gli studenti del Liceo Enrico Fermi di Bari, nell’aprile del 2022.

“Lo querelo,” fu la reazione immediata di Giorgia Meloni sui social, non ancora seduta a Palazzo Chigi. E così è stato.

Il pubblico ministero ha chiesto la citazione diretta in giudizio, per Canfora, fissando l’udienza predibattimentale il 16 Aprile prossimo.
Il caso fa discutere, non solo sulla leicità o meno, con cui il professore, in un momento di foga, si sia lasciato prendere troppo la mano, ma anche sulla opportunità o meno, della risposta legale della querelante, (Meloni) che lo cita in giudizio attraverso il suo legale, Andrea Delmastro, allora deputato, ora, sottosegretario alla Giustizia.

Ovviamente, hanno fatto da detonatore, le forze della sinistra, oltre alle 25 associazioni e organizzazioni,
e i 250 cittadini/e, che hanno firmato un appello di solidarietà allo studioso, sostenendo che tali affermazioni su Meloni rientrino “nel legittimo esercizio
della critica politica,” facendo leva sulla caratura morale e di intellettuale, sull’indiscutibile impegno civile, da lui profuso, nel corso della sua carriera universitaria. Inoltre, i petitori e le associazioni, hanno, incalzato la polemica, ringalluzzita da una larga parte della stampa nazionale, antimeloniana, secondo la quale, il fine ultimo della premier, sia quello di minare il diritto, sancìto dalla costitutizione, che garantisce la libertà di pensiero ed opinioni. E pertanto, la querela di diffamazione, rappresenterebbe un pericolo per la libertà di espressione nel nostro Paese.

Volendo fare chiarezza, onde fugare ogni dubbio, ribadisco la mia stima, all’esìmio prof. Canfora, che in vari convegni, ricordo, aveva difeso le sacrosante ragioni della rivoluzione russa, come edificante impresa di sedizione, contro l’ordine dominante.

Canfora è indubbiamente, uno studioso di livello. La sua profonda conoscenza del passato, unita alla sua capacità di analisi critica, e alla sua scrittura seducente, hanno reso i suoi libri, opere godibilissimi, per chiunque sia interessato a comprendere le dinamiche storiche, che hanno modellato il mondo in cui viviamo. Ciò non toglie che la sua frase su Giorgia Meloni, sia alquanto fuori luogo, e, largamente biasimabile e del tutto indecorosa, da parte di un cervello lucido, riflessivo come quello di Canfora.
Una frase, ritengo, gratuitamente offensiva, irricevibile e intrinsecamente invera, e spiego il perché.
Giorgia Meloni non ha nulla a che vedere con il nazismo: è una liberista tout cour, la sua stella polare è il mercato, per quanto abbia cercato di identificarsi, come fautrice indefessa, degli interessi nazionali e, dell’amor patrio.
Che Meloni e il suo governo abbiano nell’animo una chiara vocazione liberista, atlantista, è cosa assai palese.
Invece trovo discutubile, inopportuno, all’immagine del Presidente, l’aver deciso, di non ritirare la querela, una volta giunta al premierato, e non perché la frase non abbia gli estremi giusti di una querela, ma in virtù del ruolo più alto che Ella ricopre. Proprio per questo, il suo atteggiamento è apparso come di colei, che bavaglia la stampa, a lei invisa, che evita nelle conferenze stampa i giornalisti scomodi, glissando sulle domande.
Distorta e pretestuale mi appare, con tutto rispetto, l’utilizzo che Canfora ne ha fatto della vicenda personale, tesa a far credere, che in Italia è in pericolo la libertà di stampa. Tanto da farmi dire, che la libertà di espressione dovrebbe coincidere con il diniego o la non libertà alla diffamazione, perseguibile tra l’altro dall’ordinamento giuridico italiano.
La Meloni, semmai, va osteggiata e fronteggiata, sul piano politico, giusto, legittimo, aggiungerei, indispensabile, nella dialettica democratica dello Stato.
Se ciò non fosse possibile, allora, verrebbe meno, la vera libertà di informazione, e della circolazione del pensiero dissidente, ciò che accade in alcuni paesi autocratici, dove il dissenso ha il macigno del carcere e spesso la morte. Invece in Italia, si può tranquillamente vilipendere il capo del governo, senza gravi conseguenze, segno che la democrazia esiste, è in essere.

Canfora non fa marcia indietro, non si scusa. Rincalza ancora la dose, dicendo: “lo rifarei.”
Si presenterà in tribunale, adducendo la sua granitica motivazione: “Giorgia Meloni discende dal Movimento sociale, un partito che si riferiva alla storia della repubblica sociale, cioè uno stato satellite del Terzo Reich.”
In una intervista alla Stampa,
in un passaggio, egli si lascia andare ad una
affermazione surreale: gradirebbe che qualcuno gli desse dello “stalinista nell’animo.” Sempre travirgolettato, aggiunge, ne sarei contentissimo, perché lo sono, mentre altri pensano sia un insulto. I tempi cambiano.
Non sembra affatto dispiaciuto della controversia. “Perché dovrei? Sono convinto con Togliatti, che la politica sia il momento più alto della vita morale.”
Quindi nessun passo indietro: la sua – dice – è una valutazione politica e tale rimane. Fare opposizione alla Meloni, rientra nel perimetro istituzionale, in cui il controllo del potere,
è di concetto alla vita democratica; e l’opposizione va fatta (e come se non va fatta!) non solo, nelle sedi deputate, ma nel cuore pulsante del Paese: negli ambienti accademici, universitari, scuole, spingendo alla virtù civica, (nell’accezione più nobile e dantesca del termine) nel dialogo costruttivo, anche nelle inevitabili divergenze ideoligiche, che sempre son state, e ci saranno.
Ciò rientra nella prassi sociologica della politica, che ne studia i fenomeni, li analizza, ne esamina le distorsioni e le tensioni. Ferrarotti in “Radici della violenza” 1979, studia perspicacemente tali fenomeni di subbuglio culturale.
Società e politica rappresentano l’innesto imprescindibile, nel quale confrontarsi, dibattersi, con lo spirito del mutuo scambio di posizioni, in cui il rispetto è alla base di ogni scontro – incontro costruttivo.
Il mondo dell’intellighenzia, alla quale Canfora appartiene, insieme ad una frangia di intellettuali alla moda, con lo spocchio della “canoscenza,” verso la
falce e il martello, o lo stesso, dicasi, per converso, per l’altrettanto
spocchio, col “nostalgico” fascino delle “fasces lictoriae,” hanno sostituito la “virtude,” con l’insulto, l’acrèdine,
Il nichilismo che degenera nell’anarchia.
L’insulto di “neonazista” è fuori da ogni logica storica: Meloni ha ribadito in più sedi, il distacco ideologico dal fascismo. Forse lo dovrebbe dire ogni piè sospinto, è questo che si vuole? Ricadere nella morsa dei veleni è un recesso involutivo deleterio, sia nel sociale che nella formazione. Abbattere questi sterili steccati, a partire dagli strati piu bassi, come dicevo, iniziando dalle scuole soprattutto, rappresenterebbe la route principal, verso la formazione della coscienza civica. Nella scuola si formano le coscienze, si indirizza, si riscoprono talenti, non ci si va, per sermonare odio, dissenso, sospetti.
Canfora andando al Fermi, ha compiuto un atto di manipolazione, di distorsione della realtà, portando a sé, e ai suoi interlocutori in erba, concetti di fondamentalismo ideologico, che generano odio, odio, che in passato, ha indotto a scontri violentissimi. Qualcuno si ricorderà di Paolo Rossi, finito da aggressori fascisti e, rievocato, dalla canzone di Venditti: Giulio Cesare (un famoso Liceo romano.)

Qualcuno ricorderà, Sergio Ramelli, ucciso a Milano, da un gruppo di extraparlamentari comunisti di Avanguardia operaia.

Nelle scuole non si fa politica, ma si educa alla politica, affinché non si insinui il germe nefasto della contrapposizione di forza ideologica, che abbiamo visto in escalation sin dagli anni ’60.
L’insulto alla Meloni è la punta di un iceberg, i cui contorni si riveleranno o disveleranno sotto il vento delle macerie di guerra, a cui la politica pugnace e caparbia, non pone fine. Sono questi i valori fondanti, su cui, gli intellettuali, dovrebbero far leva ed interrogarsi, insieme a certa stampa, spesso compiacente, silente sul tema degli armamenti e l’attivismo bellico. Siamo in tempore bellis, ma sembra non accorgersene.
Credo, infine, che l’insulto, sia come una piuma su un incudine, che non scalfisce, lascia nell’aria una impronta, come una nota stonata: NEONAZISTA NELL’ANIMO, che brutta espressione!!!

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