Le silenziose battaglie dell’avvocato Francesco Favi contro la corruzione del “Sistema Siracusa”

Siracusa. La perseveranza non è fare sempre le stesse cose a ripetizionecome un robot, ma la ricerca del desiderio, si chiami conquista, verità o giustizia. L’esempio nell’attività forense dell’avvocato Francesco Favi che è stato riconfermato con una schiacciante maggioranza alla presidenza dell’Ordine degli avvocati. È stata premiata la sua battaglia a volte rimasto solo contro il delirio di onnipotenza di magistrati che amministravano la giustizia come un’azienda privata di loro proprietà; e questo è successo per un lungo, troppo tempo. Corruzione, archiviazioni, depistaggi e un’attività criminale a cui nessuno degli addetti ai lavori si ribellava. E se da un lato l’avvocato Favi teneva un atteggiamento vigile nel rivelare i suoi sospetti, nei fatti pratici si può definire uno dei pochi e di sicuro il primo che ha afferrato che cosa stava succedendo, penetrando nel silenzioso muro di gomma innalzato, anche a costo di essere additato come colui il quale cercava qualcosa che era legata al passato. Ma così non è stato. Si è trovato di fronte la corruzione e nel suo delicato ruolo è riuscito a mantenere la calma del comandante che trova all’improvviso la tempesta ideale e riesce a portare la nave in un porto sicuro per effettuare i lavori necessari per riprendere a navigare nelle acque serene della legalità. La categoria degli avvocati è stata attaccata, intercettata, obbligata ad assistere ad una congiura contro la legalità, ma si è ribellata al sistema, attuando una strategia, insieme ai sostituti procuratori che hanno firmato la denuncia contro chi pescava nel torbido, e che alla fine ha costretto a far uscire allo scoperto i fuorilegge che avevano assediato il palazzo di Giustizia di Siracusa e non solo. Questa premessa serve a ricordare quale sia stata la sintesi di un problema complesso dal quale nasce il caso sui veleni alla Procura di Siracusa, non meglio spiegati per motivi di spazio, ma di certo un esempio nella società civile siracusana, per un forgiatore di civiltà.

Il 29 settembre del 2016 con un esposto a firma di 8 degli 11 sostitutiprocuratori in servizio alla Procura di Siracusa spedito al Ministro della Giustizia, alla Procura generale della Cassazione, alla Procura generale presso la Corte d’appello di Catania, all’Ispettorato presso il Ministero della Giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura per tentare di fermare una lunga serie di atti criminosi all’interno del palazzo di Giustizia. È l’ultimo atto disperato che innalza una diga per fermare lo tsunami della corruzione diffusa a più livelli delle istituzioni democratiche nell’ambito della Repubblica Italiana. Siracusa, Palermo, Roma Milano e in altre città della Repubblica Italiana. Scrivono i magistrati siracusani stanchi di subire le angherie: “…nell’ambito delle attività di coordinamento investigativo, anche informale, interne all’Ufficio, si sono palesati elementi che inducono a temere che parte dell’azione della Procura della Repubblica possa essere oggetto d’inquinamento, funzionale alla tutela d’interessi estranei alla corretta e indipendente amministrazione della giustizia”.

S’intuiscono e s’intravvedono le diverse infiltrazioni e interferenze da parte di soggetti portatori di specifici interessi economici e imprenditoriali, tali da condizionare l’attività investigativa e giurisdizionale della magistratura dall’interno, ma anche con un progetto che mirava a conquistare il potere politico oltre a quello giudiziario le cui indagini non si sono mai fermati. Avvocati, giornalisti, imprenditori, politici, affaristi, colletti bianchi, mediatori, guastatori, malfattori e tanti altri ancora, accomunati in una sorta di consorteria capace d’incidere nelle decisioni delle istituzioni al fine di ricavarne un profitto. Atti contrari a ogni forma di legalità, non nuove al palazzo di giustizia di Siracusa. Infatti, la Corte d’appello di Messina, appena un anno prima, e successivamente la Corte di Cassazione, avevano potuto rilevare e censurare, che l’azione giudiziaria si era in alcune circostanze piegata al volere e a favore “di esponenti dell’economia locale, garantendo a costoro e ai loro collaterali trattamenti di favore”. Quella vicenda passò alla storia come “Veleni in Procura” e provocò un terremoto al “palazzaccio” con trasferimento di magistrati, ispezioni ministeriali e riassetto del vertice della Procura. Tutto sembrava essere tornato alla normalità ma le successive vicende hanno riproposto uno scenario che gli otto sostituti procuratori hanno definito nell’esposto come la “virulenta capacità di condizionamento” fosse ancora attuale. Anzi, per certi aspetti peggio di prima.

Nell’esposto, i magistrati denunciavano che “uno o più colleghi dellaProcura si erano piegati a interessi estranei”; in particolare, “uno dei colleghi ha dei rapporti secondo loro… estremamente stretti con alcuni imprenditori, … ciò ha comportato sovente, loro dicono, … come delle indagini fossero finalizzate al raggiungimento di uno scopo, cioè quello di favorire determinati gruppi”.

I coraggiosi otto sostituti procuratori nell’esposto hanno sottolineato come il procuratore capo Francesco Paolo Giordano, a cui più volte si erano rivolti per segnalare le incongruenze, avrebbe assunto un comportamento volto a “minimizzare gli accadimenti e di disincentivare, se non di ostacolare, le segnalazioni e la loro formalizzazione scritta”. Gli esponenti hanno osservato che “lui ha ritenuto che quello che noi riferiamo fosse poco significativo e comunque anche lì che bisogna evitare conflitti eccetera”. L’ex procuratore Giordano si difese a lungo davanti alla prima commissione del Csm sostenendo di aver “aperto ben 5 segnalazioni disciplinari contro il sostituto Giancarlo Longo”, trasmettendo gli atti alla Procura di Messina quando era doveroso, e disponendo l’esonero del predetto dall’assegnazione di nuovi procedimenti e dalla partecipazione a turni ed udienze quando emerse che era indagato a Messina.

Gli effetti e i risvolti giudiziari e disciplinari di quell’esposto e, soprattutto, dell’indagine portata a termine dalla Procura di Messina, hanno messo la parola fine a un sistema corruttivo e deviante del corso della giustizia e un comportamento che vantava chiaramene onnipotenza e la capacità di “sistemare” qualsiasi cosa che trattava quella che era diventata orami “una bottega della Giustizia siracusana”. Il procuratore Giordano ha chiesto e ottenuto di essere trasferito mentre è stata definita la posizione dell’ex pm Giancarlo Longo, che ha patteggiato ammettendo le proprie responsabilità, come quella di altri imputati, ma sono stati tanti i fatti e le circostanze che sono sfuggite alla macchina della Giustizia per il tempo trascorso e le tante archiviazioni o sentenze pilotate.

C’è in corso un processo con il rito ordinario per il troncone principale di “Sistema Siracusa” in cui sono coinvolti politici, consulenti tecnici, imprenditori, giornalisti. Dovrà essere definita anche la posizione dei due principali protagonisti della vicenda, gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, che con la loro influenza avrebbero condizionato procedimenti penali, tentato di depistare indagini e indirizzato a favore di loro clienti procedimenti pendenti davanti alla giustizia amministrativa. Importante al fine di fare rilevare condizioni poco chiare davanti al Tar e al Cga sfociate con gli ultimi procedimenti cautelari per giudici, avvocati e politici. Determinante la denuncia da parte dell’amministrazione comunale di Siracusa che, a fronte di una sentenza sfavorevole che stava per definire la condanna del Comune al pagamento di un risarcimento danni ultramilionario per la nota vicenda legata alla costruzione del centro commerciale di Epipoli. Inizialmente la richiesta era di 50 milioni, poi scesa a 24 milioni, così come emerso dalla consulenza di uno dei tecnici incaricati dal Cga, poi finiti nel tritacarne delle indagini delle procure di Siracusa, Palermo e Roma. Il Comune è stato condannato a pagare 2 milioni e 800 mila euro e soltanto di recente è stato accertato che il risarcimento dei danni è stato determinato in appena 160mila euro.

Avvocati, operatori giudiziari e cronisti che quotidianamente frequentano il palazzo di giustizia, hanno dovuto costatare, spesso a loro spese, quanto pesante fosse il clima che si respirava non soltanto negli uffici della Procura. Giornalisti minacciati solo per aver riportato i fatti della cronaca. E’ stato un lungo periodo, vissuto spesso con imbarazzo quando con estremo disagio per quanto si sapeva stesse accadendo e che da un momento all’altro scoppiasse un altro bubbone, anche più devastante del precedente “Veleni in Procura”.

Per un giornalista scrivere delle vicende legate al “Sistema Siracusa” o di fatti dell’Open Land, o al progetto per la costruzione di 75 villette ad Epipoli, rappresentavano un rischio professionale ad altissimo grado, con annessa esposizione alla querela temeraria. Quando poi è venuto a galla il caso Isab con la denuncia avanzata dal vertice della società petrolifera, il clima di tensione si è ulteriormente alzato. In quella vicenda, come si ricorderà, era stato coinvolto l’ex pm Longo, il quale in quei giorni in cui sulle pagine dei giornali emergevano particolari della vicenda di consulenze tecniche, ha mostrato di non gradire l’accostamento del suo nome con tali vicende minacciando di “regolare i conti dopo” con due giornalisti che si erano limitati a scrivere i fatti in maniera reale.

In questa intricata vicenda è il cittadino, però, a rimanere spiazzato e sbigottito nell’apprendere, peraltro fuori dal sacco, di tanti fatti venuti a galla e raccontati solo in parte dalla cronaca, di tante altre manchevolezze, stregonerie con tante querele archiviate nell’ambito di una corruzione galoppante che non ha reso giustizia a tanti onesti cittadini che hanno dovuto subire le soverchierie del potere giudiziario deviato, marcio, putrefatto. Vi è dunque, un sottile filo rosso che alla fine svaluta la funzione giudiziaria di uomini super pagati che cercano altro denaro e tanta vana gloria nella scalata della carriera, in un compito che può togliere la libertà a degli innocenti e assolvere tanti colpevoli, delinquenti o corrotti che siano poco importa.

Concetto Alota    

 

 

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