Il coronavirus e le adozioni, i randagi e quel business a piene mani

Il coronavirus colpisce anche i randagi; spunta l’emergenza per i cani in Sicilia. Le difficoltà per la spedizione. Non si possono trasportare per i vincoli del Governo sugli spostamenti e nemmeno si possono dare in adozione a chi è residente in altre zone dell’Italia o a Malta, come avveniva prima. Un effetto dirompente, se si considera che le adozioni fuori dalla Sicilia erano davvero una via verso una casa per le migliaia di cani che sfornano i canili siciliani. Ci mancava un altro colpo per i comuni con i bilanci in tilt e con migliaia di cani randagi che girovagano in cerca di cibo. Non si salva da questa logica la Provincia di Siracusa, anzi per certi aspetti sono stati negli anni scorsi tanti i comuni sospettati di essere vittime inconsapevoli di raggiri.

Di certo in questi anni il fenomeno del randagismo è finito fuori controllo fino a diventare un fenomeno dilagante, capace anche di essere un buon business. Una manifestazione in aumento, ma non basta più il semplice censimento; tutto il sistema è davvero fuori controllo.

Da tempo le associazioni animaliste tentano di alzare la voce chiamando in causa le amministrazioni comunali. Il riferimento è ai randagi che individui senza scrupoli avvelenano senza pietà, ma anche il possibile affaire sui canili e il giro volta che produce guadagni da record e in certi casi in connubi con amministratori della cosa pubblica. Ci sono comuni che spendono buona parte del loro bilancio per affrontare il problema, distraendo dalle casse pubbliche risorse che potrebbero essere destinate ad altro, compreso l’aiuto alle famiglie che in questo momento non hanno niente da mangiare. Fenomeno molto diffuso e dopo le denunce delle Asp le forze dell’ordine si sono attivate per fare luce sul denaro che passa in mano a sedicenti animalisti senza alcuna traccia. Oltre il 60 per cento dei cani randagi che si trovano sul territorio siciliano sono privi di microchip e arrivano in maniera illecita. Spesso c’è chi li lascia in aperta campagna o davanti i canili, altri vengono lasciati nelle vicinanze di case di privati e vengono segnalati come pericolosi.

La legge 281 del 1991 ha vietato la soppressione dei cani, ha imposto ai comuni di finanziare il mantenimento dei randagi nei canili e ha promosso la sterilizzazione delle femmine. Una politica che, se correttamente applicata, avrebbe portato in questi 23 anni all’estinzione dei meticci “indesiderati”, considerato che i cani non vivono più di 20 anni. Ma non è andata così, specie nei comuni in cui la prospettiva delle sterilizzazioni è stata disattesa; così i costi per i comuni sono esplosi, con centinaia di migliaia di euro l’anno nelle città; anche la mafia in connubio con la politica è interessata a questo tipo di business.

Buona parte dei Comuni della provincia di Siracusa non si attiva in maniera efficace e seria per reprimere il randagismo. Sono tanti i soldi che arrivano ogni anno dall’Unione europea per combattere il fenomeno, quelli dedicati alla sterilizzazione ma in gran parte ritornano al mittente. Tante le amministrazioni comunali che hanno fatto un buon lavoro, diversamente fa il resto della provincia, dove il fenomeno è molto diffuso. Nella morsa del business dei cani randagi si trovano la maggior parte dei comuni nel territorio aretuseo, così come il resto della Sicilia. E il motivo è più che ovvio: il business. Ma ad onore del vero, non tutti i canili e le associazioni sono composte da finti animalisti, ci sono tanti che operano sul territorio in maniera legale e coscienzioso, con tanto amore per gli amici a quattro zampe, rendendo trasparenti i bilanci e adozioni. Insomma, un sistema per fare in modo che i box dei canili non rimangano mai vuote, avendo a disposizione merce sempre fresca e a portata di mano.

C.A.

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