La Sicilia è prigioniera dei rifiuti, i depuratori non depurano e l’inquinamento è fuori controllo

L’opinione – In Sicilia il comparto dei rifiuti è in mano alla mafia. La politica in buona parte è corrotta. L’inquinamento è fuori controllo. La depurazione delle acque si trova in uno stato spaventoso; il 95% degli impianti è con le necessarie autorizzazioni scadute e la depurazione avviene con il cattivo funzionamento dei siti di smaltimento che non sono non a norma.

La vita umana senza alcun valore barattata con il profitto a tutti i costi. Il lavoro diventa più importante della vita in generale, dell’ambiente, degli esseri umani. Rifiuti tossici e nocivi scaricati in mare per risparmiare sui costi di gestione con il risultato di avvelenare ogni cosa, facendo schizzare i livelli d’inquinamento provocati da alcune sostanze, come il mercurio, fino venti mila volte al di sopra dei limiti consentiti dalla legge. E’ la tesi sostenuta dalla Procura di Siracusa nell’ambito dell’inchiesta denominata Mare Rosso agli inizi degli anni 2000 nei confronti dei vertici dell’Enichem di Priolo, arrestati su richiesta della Procura di Siracusa dalla Guardia di Finanza con la pesante accusa di strage colposa e associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti pericolosi. Nel petrolchimico siracusano lo scenario non è cambiato e per certi aspetti è peggiorato. Quello che succede all’interno degli stabilimenti è top secret. La conferma che lo scenario dell’inquinamento selvaggio rimane un’emergenza.

Un’inchiesta che rischia di intersecarsi con il passato e il resto della Sicilia è il rinvio a giudizio dei responsabili da parte del gip di Barcellona Pozzo di Gotto, Salvatore Pugliese, per inquinamento ambientale in concorso per la gestione del depuratore di Giammoro, a Pace del Mela. Secondo il pm Matteo De Micheli gli imputati non avrebbero gestito l’impianto secondo le regole. Secondo la tesi attestata dal gip sarebbe stato demolito uno dei due bacini combinati, “così dimezzando la capacità depurativa” e utilizzato “un bypass (troppo pieno) ordinariamente e non solo in casi eccezionali, così immettendo direttamente e costantemente nello specchio acqueo marino un notevole quantitativo di reflui non depurati”. E questo “cagionando abusivamente una compromissione ed un deterioramento significativo e misurabile” del mare, in cui venivano riversati reflui “contaminati”. Accusa che comprende l’omessa vigilanza sulla gestione del depuratore e la mancata attivazione dei poteri per “scongiurare il conseguente pericolo di danno ambientale”.

Insiste il parallelismo con la situazione esistente nella zona industriale siracusana e l’inchiesta della Procura di Siracusa che conferma come l’operazione denominata, ”No Fly”, rimane la sintesi di un comportamento criminale. Indagine, che si avvia verso la volata finale con i tanti possibili colpi di scena, iniziata con 19 indagati, ma potrebbero essere nel frattempo aumentati e altri scagionati dai reati inizialmente ipotizzati. L’accusa iniziale era d’inquinamento ambientale in concorso.

Troncone d’indagine, che il procuratore Scavone ha riaperto deciso a chiudere il cerchio all’inquinamento selvaggio da parte delle industrie, compreso i depuratori che non depurano a dovere e sono l’ultimo stadio in cui avviene la depurazione dei reflui velenosi provenienti dagli stabilimenti del Petrolchimico. Rimane ancora aperto il filone delle discariche e dello smaltimento dei fanghi. Le attività investigative coordinate dalla Procura di Siracusa, scaturiscono da una serie di esposti e denunce pervenuti, nel tempo, all’ufficio di Procura, alle Forze di Polizia e ad altri organi a seguito dei quali un collegio di consulenti tecnici nominati dalla Procura accertavano la natura inquinante e molesta, sotto il profilo odorigeno, delle immissioni aeree degli stabilimenti di Versali s.p.a. di Priolo e Sasol s.p.a. di Augusta, e dei depuratori Tas di Priolo Servizi s.c.p.a. di Melilli e IAS s.p.a. di Priolo Gargallo che furono sottoposti al sequestro. Indagini che per l’Ias si allargano anche alle tematiche dei lavori in appalto condotte dalla Guardia di Finanza di Siracusa.

Un altro troncone d’inchiesta della Procura di Siracusa sull’inquinamento nel petrolchimico siracusano in cui sono indagati quasi tutti i vertici delle industrie che insistono nella zona industriale, così come dei depuratori dei dintorni che si conclude, ma non sarebbe del tutto finita per il resto dei reati appurati. La ripresa delle indagini dopo una breve pausa lasciava sperare i necessari chiarimenti sulla grave situazione che ormai è diventata improcrastinabile. La puzza e i miasmi si sono addirittura triplicati e la situazione appare fuori controllo, con l’angoscia della popolazione residente costretta a vivere tra miasmi, fumi e bolle di gas in libertà.

Questa è un’indagine stralciata da quella generale iniziata nel 2014/2015/2016 e che portò nel 2017 al sequestro preventivo degli impianti delle due raffinerie Esso e Isab che insistono nel petrolchimico siracusano. Come già pubblicato da queste colonne, i legali difensori di Esso Italia (ora Sonatrach) e Isab-Lukoil hanno depositato nel tempo utile stabilito le dichiarazioni di osservanza degli aggiornamenti degli impianti, così come prescritto dal Gip del tribunale di Siracusa Michele Consiglio a suo tempo, su richiesta della Procura di Siracusa.

L’intera area industriale di Siracusa, nel triangolo Priolo-Augusta-Melilli, rischia la paralisi; c’è il rischio che i reflui di tre comuni (Priolo, Melilli e gran parte di del depuratore di Siracusa) finiscano direttamente in mare. Potrebbero essere queste le conseguenze della situazione particolare in cui si trova l’impianto dei depuratori nel territorio siracusano, recentemente finiti nel mirino della Procura. Ma la mancata risposta alle complesse tematiche insistenti potrebbe portare a conseguenze drammatiche.

  • Concetto Alota

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