ATI, Ezio Guglielmo: evitato il commissariamento, pensiamo alle cose da fare

La decisione assunta dall’assemblea dell’ATI il 12 novembre ha avuto il merito di scongiurare, nell’immediato, il rischio concreto, in presenza di una diffida del governo regionale, di un ulteriore commissariamento che avrebbe sancito la definitiva esautorazione delle municipalità dalla gestione delle risorse idriche del territorio. Di fatto la fine dell’ATI come strumento democratico di gestione periferica dell’acqua pubblica.
Non è detto che questo pericolo sia definitivamente rimosso, perché la scelta adottata della gestione diretta costituisce, allo stato, una petizione di principio che andrà supportata da tutta una serie di adempimenti impegnativi a corredo di un Piano d’ambito ancora inesistente, adottata da un consesso del quale ben 13 Comuni su 21 si dichiarano “ospiti provvisori”, avendo avanzato formale richiesta di procedere in proprio.
Sia ben chiaro, la situazione locale è, in larga misura, comune a tutte le 9 ATI siciliane, dove la soluzione prospettata dalla legge (la gestione unica su base provinciale) è rimasta sulla carta mentre continuano a proliferare le più disparate modalità operative. Basterebbe questa constatazione per riflettere sulla bontà della legge istitutiva, ed in particolare sulla sua capacità di superare i tradizionali localismi, da sempre non inclini a fare sistema e ben più propensi a coltivare l’illusoria ricerca di uno spazio autonomo. Perché, a fronte di un non imprevedibile fallimento della riforma, l’alternativa è, prevedibilmente, l’avocazione della gestione a livello regionale, come peraltro avviene già in altre parti d’Italia. E non sarebbe certo lo scenario auspicabile, se pensiamo alla conclamata incapacità dimostrata dal governo regionale nella gestione di analoghe problematiche, come nel caso dello smaltimento dei rifiuti.
Non sarà dunque un commissario regionale a decidere il gestore del servizio idrico integrato locale. Non altrettanto certo è quale fisionomia assumerà, in concreto, il soggetto chiamato ad assolvere a questo delicato compito. La scelta dell’azienda speciale consortile, infatti, se ha avuto il merito di escludere categoricamente l’affidamento privatistico, si presenta non priva di incognite relativamente alla capacità dei nostri Comuni, notoriamente deficitari in termini di personale e risorse finanziarie, di mettere in campo, ex novo ed in tempi compatibili, una struttura di tale portata. Che dovrà misurarsi prioritariamente con la triplice sfida della individuazione di un management adeguato, di risorse congrue, della salvaguardia del posto di lavoro del personale in carico alle gestioni attuali. Una scommessa che, in ogni caso, non vedrebbe la luce prima di due tre anni, nella migliore delle ipotesi.
Il percorso avviato ed il confronto che ne è scaturito non possono e non debbono, in ogni caso, distogliere l’attenzione dalle iniziative e/o dagli interventi che, nel medio e breve termine, potrebbero essere comunque attivati per migliorare le condizioni della nostra rete acquedottistica e rimediare ad alcune criticità persistenti, senza necessariamente aspettare che vada a regime la soluzione gestionale prescelta. Che, diversamente, si configurerebbe, sostanzialmente, come una bad company chiamata a farsi carico di una rete infrastrutturale largamente carente sia dal punto di vista della efficienza che da quello della economicità.
La fatiscenza degli impianti (oltre il 50% di dispersione idrica) è tale da richiedere investimenti non più differibili e di enorme consistenza. L’ affidamento di lunga durata a terzi, da questo punto di vista, avrebbe sicuramente evitato esborsi di denaro pubblico, ma si sarebbe tradotto in un significativo aggravio a carico degli utenti, su cui sarebbero ricaduti i relativi costi di ammortamento, sia pur modulati nel tempo. Tale ipotesi è stata ragionevolmente esclusa dalla recente delibera dell’ATI, ragion per cui andrebbero esplorate altre strade, in qualche modo già intraprese (Fondi Strutturali Europei) o delineate (Piano Sud) e senza escludere il possibile ricorso alle risorse comunitarie veicolate attraverso il Recovery Fund.
Per quanto riguarda la città di Siracusa e gli interventi a breve termine praticabili, bisognerebbe concentrarsi su quelli che è possibile attivare per rimediare ad alcune criticità più volte evidenziate. Più di recente, nel corso di un Convegno pubblico promosso da Lealtà e Condivisione, furono messi a fuoco alcuni aspetti problematici e delineate le possibili soluzioni. Tra questi la esigenza di inserire nel nuovo Piano d’ambito dell’ATI la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento idropotabile, la rimozione dello scarico a mare dei reflui depurati e il loro riutilizzo. Su uno di questi aspetti in particolare, quello dello sversamento incontrollato finale del refluo trattato dall’impianto consortile di c.da Canalicchio, consistente in milioni di metri cubi che potrebbero, se opportunamente trattati, essere convogliati a favore delle attività agricole, furono assunti impegni autorevoli. L’assessore all’agricoltura Edy Bandiera assicurò il suo intervento per garantire il finanziamento di un progetto che mirasse alla soluzione prospettata. Ma che, se dovesse rivelarsi di problematica attuazione (le aziende agricole dovrebbero essere vincolate all’utilizzo del refluo), potrebbe essere finalizzato al perseguimento di opzioni alternative (convogliare i reflui trattati nel sistema di scarico a mare in condotta sottomarina dell’impianto biologico consortile dell’IAS, realizzare una condotta di allontanamento, convogliando i reflui fuori dal porto grande).
Un progetto del quale avrebbe dovuto farsi carico il Comune di Siracusa, proprietario degli impianti, di concerto con l’ATI, e che non è mai stato approntato, nonostante che sia di tutta evidenza che rappresenterebbe un atto qualificante per questa amministrazione. Eppure è da qui che bisognerebbe ripartire, se si vuole accreditare la solidità della propria candidatura alla gestione ben più complessa di un servizio idrico integrato.

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