‘Graffio’, il primo romanzo di Tessa Rosenfeld

 

Una quasi cinquantenne frustrata che odia i bambini e gli adolescenti e probabilmente non sopporta nemmeno se stessa. La donna in questione è Nicoletta Poggiardo, detta Nikla originaria di un paesino del Salento, ma trasferitasi a Roma per lavoro dove incontra l’uomo del quale diventerà l’amante.

 Questo l’incipit di “Graffio”, il primo romanzo di Tessa Rosenfeld, pubblicato da Linea Edizioni; un racconto che si dipana tra il presente e il passato di Nikla, una quasi cinquantenne alle prese con una lunga serie di esperienze negative che le hanno causato traumi, frustrazioni e soprattutto un senso di vuoto che non riesce a colmare con la bulimia e con relazioni sregolate, quasi malsane: “I primi ricordi d’infanzia parevano, in apparenza, permeati di serenità. La serenità consisteva nel forte attaccamento al padre, visto che la madre interpretava il ruolo genitoriale con freddezza, senza mai esprimere quel che definiva ‘un inutile eccesso di fisicità’. Imparò ben presto a non saltarle in braccio, ‘come uno scimpanzé!’ né a reclamare i baci stampati come timbri postali da altre madri sui volti delle compagnette di scuola”. 

 Da una parte, quindi, un padre, almeno all’inizio, attento e premuroso, un tipo mite che non soggiace al vacuo conformismo blasonato della consorte, dall’altra una madre “indigeribile. Bigotta, forcaiola nel sangue”, che passa il tempo a oziare e ad incontrare “un viluppo di rettili” con le quali si inoculano a vicenda “dosi di perfidia”, calunniando gli altri.

 Col suo fare indigesto, riesce anche ad allontanare le amichette della figlia, provocandole un ulteriore dolore. I due genitori si differenziano nettamente anche per il rango: lui un semplice ed ingenuo ragioniere ridotto sul lastrico perché imbrogliato e derubato dal suo commercialista, lei di famiglia “rispettata” e “di antiche tradizioni” che non manca di rinfacciare al consorte la propria superiorità sociale ed economica e far pesare alla figlia questo eterno conflitto.

 Col passare del tempo i problemi aumentano, la famiglia precipita in un’atmosfera cupa, intrisa di morte e fallimenti, dalla quale Nikla non riesce ad affrancarsi. Anzi, la sua relazione con l’uomo conosciuto decenni dopo nella pasticceria romana, durante una delle solite abbuffate, aumenta in lei tutti i sentimenti negativi verso se stessa e il suo prossimo.

 In un crescendo di squallore e violenze subite, dapprima soltanto psicologiche, ma che in seguito sfociano anche in quelle fisiche, sembra che per la protagonista non ci sia scampo: più si impegna nella ricerca di un briciolo di serenità, più si ritrova nel baratro della disperazione. Dovrà toccare il fondo per poi risalire e ritrovare, sorprendentemente, la sua dimensione che l’aiuterà a riconciliarsi con se stessa e il mondo.

 Un percorso, dunque, lungo e faticoso, intimo ma anche sociale, all’insegna di un continuo “graffio” che asserraglia la protagonista, la quale sentendosene sopraffatta, lo riversa con tutta la sua forza. Fino al culmine, quando il suo senso di rigetto troverà l’ostacolo che ribalterà a 360 gradi la sua vita e, paradossalmente, il risultato dell’estrema violenza e del fallimento si trasformerà in motivo di riscatto e di tenera dedizione.

 Il linguaggio tagliente e il comportamento di Nikla e degli altri protagonisti potrebbero far pensare inizialmente ad un romanzo di paraletteratura, ma con l’entrare nelle vicende, pagina dopo pagina, essi si rivelano invece essere l’emblema di uno stile volutamente ricercato che amplifica il senso della trasformazione e rende il racconto scorrevole e avvincente.

Di Elena Lattes

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