App 2.0 bloccata dai capi degli uffici giudiziari

“Si apprende della pubblicazione, da parte di numerosi uffici giudiziari, di decreti aventi ad oggetto la “sospensione temporanea dell’utilizzo dell’applicativo APP per l’adozione ed il deposito di atti, documenti, richieste e memorie relativi alle fasi processuali di cui al Libro V titolo IX, libro VI titoli II, V e V-bis ed al giudizio dibattimentale e predibattimentale”.
I provvedimenti, richiamando in maniera impropria l’art. 175-bis del codice di procedura penale, decretano la sospensione unilaterale (vale, infatti, solo per l’applicativo APP 2.0 e, quindi, riguardano solo i cosiddetti “abilitati interni” ovvero i magistrati ed i cancellieri e non certamente gli avvocati) dell’obbligo di deposito telematico degli atti indicati nel recente DM 206/2024; la ragione di tali provvedimenti parrebbe risiedere non in un malfunzionamento “accertato ed attestato dal dirigente dell’ufficio giudiziario” di APP 2.0 ma, piuttosto, nella necessità di garantire “un adeguato periodo di sperimentazione delle funzionalità introdotte recentemente”.
Si tratta, all’evidenza, di decreti che esorbitano dal dato normativo ma che, allo stesso tempo, confermano quanto da tempo UCPI va ripetendo:
1) i soggetti “abilitati interni” non hanno svolto “quella necessaria attività didattica indispensabile ad assicurare che i diritti dei soggetti coinvolti in un procedimento penale possano essere esercitati con effettività, senza intralci tecnici od umani che pongano a rischio le attività difensive”;
2) la progressione è stata imposta con tempi e modi insensibili alle criticità segnalate e senza adeguata interlocuzione con gli utenti “abilitati interni ed esterni”.
L’effetto è stato quello di creare le condizioni oggettivamente non gestibili per il quotidiano esercizio delle funzioni giudiziarie, che hanno indotto vari capi degli uffici a fare ricorso a strumenti certamente inadeguati per scongiurare una paralisi, o peggio, il governo del caos nel sistema penale.
Se da un lato sono, dunque, evidenti le -da noi più volte denunciate- difficoltà che hanno portato a tale forzatura, dall’altro si deve prendere atto che, l’utilizzo strumentale di una norma inserita nel codice per la salvaguardia del completo e corretto esercizio dell’attività di difesa tecnica viene così a delineare una ulteriore, pericolosa ed ingiusta disparità nel trattamento delle parti cui deve essere posto immediato rimedio: le regole processuali devono essere uguali per tutti e, soprattutto, non possono essere derogate autonomamente da una delle parti come se ci si trovasse all’interno di un sistema di “portali girevoli”.
Intervenga allora con immediatezza il Legislatore a porre argine all’effetto domino dalle conseguenze imprevedibili, ma certamente contrarie alla volontà delle norme, che tali provvedimenti genereranno, mettendo a rischio la legalità processuale, rimodulando i tempi di attuazione del processo penale telematico, secondo scadenze che tengano conto dell’effettivo avanzamento dei sistemi telematici e della preparazione professionale impartita al personale di cancelleria, preservando l’efficienza degli uffici giudiziari e soprattutto garantendo il concreto ed effettivo esercizio del diritto di difesa”.

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