Minacce di morte a Borrometi: il procuratore Petralia aveva annunciato in anticipo che il giornalista era in pericolo di vita

A lanciare l’allarme che il giornalista Paolo Borrometi era in reale pericolo di vita, era stato pochi mesi fa Carmelo Petralia procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia presso il Tribunale di Catania durante una conferenza stampa, dopo una della tanta operazione anticrimine. La mafia voleva eliminarlo per le scomode inchieste a ventaglio sui traffici illeciti, con dovizia di particolari. Ora, come una doccia fredda, arriva una singolare replica a quanto rivelato dalla Dda, dagli investigatori della squadra mobile di Siracusa, da quelli del commissariato di Pachino con il coordinamento della Procura distrettuale antimafia di Catania, da parte dell’avvocato Luigi Caruso Verso. Borrometi, vive dal 2013 con l’incubo delle minacce di morte.

A bocce ferme la cronaca ci riporta che il clan catanese dei Cappello, su richiesta del boss siracusano Salvatore Giuliano, stava per organizzare un’azione clamorosa per eliminare il cronista. Salvatore Giuliano, ritenuto dagli inquirenti un esponente dell’omonimo clan di Pachino, ha rigettato ogni accusa relativa al fatto che stava preparando “un eclatante azione omicidiaria” nei confronti del giornalista Paolo Borrometi.

La vicenda si muove sulle indagini per l’attentato dinamitardo all’autodell’avvocato Adriana Quattropani, per la quale sono finite in manette 4 persone. E’ scritto nell’ordinanza di custodia cautelare che, nel corso delle intercettazioni ambientali e telefoniche, l’8 gennaio Giuliano (che in questa vicenda non è indagato) avrebbe consigliato a Giuseppe Vizzini di fare ammazzare: Vizzini: “Stu lurdu”; Giuliano: “Lo so, ma questo, ma che c… di p.i. è, ma perché non si ammazza, ma fallo ammazzare, ma che c… ti interessa”.

Per l’avv. Caruso “chiunque sia siciliano e legga la frase pronunciata da Giuliano, ne capisce perfettamente il significato. Nel nostro dialetto è un modo tipico per dire: lascialo stare, non ti curare di lui, illuminato, peraltro, in modo inequivocabile”. In un altro passaggio dell’ordinanza si legge che Giuseppe Vizzini commentava con i figli le parole di Salvatore Giuliano il quale, forte dei suoi legami con il clan Cappello di Catania, per eliminare lo scomodo giornalista stava per organizzare un’eclatante azione omicidiaria. Giuseppe Vizzini: “Lo sai che ti dico Peppe? Ogni tanto un murticieddu vedi che serve”. Per il legale difensore di Giuliano “anche qui c’è un clamoroso travisamento della realtà. Dal tenore della discussione si capisce chiaramente che lo scomodo giornalista d’inchiesta non c’entra un bel niente con i discorsi registrati (ai quali Giuliano non partecipa). Si parla di Pachino e il giornalista vive altrove; si fa riferimento agli anni 90. E a Pachino, in quegli anni, crediamo, non sia mai stato ucciso alcun giornalista d’inchiesta”.

 Ordine dei giornalisti e Federazione della Stampa in difesa del cronista.

 «Abbiamo la netta sensazione – affermano in una nota congiunta Ordine nazionale dei giornalisti e Federazione nazionale della stampa – che l’avvocato abbia sbagliato indirizzo, perché il piano di attentato nei confronti di Paolo Borrometi è stato sventato dagli inquirenti. La magistratura, nelle sue diverse espressioni, ha più volte segnalato la condizione di pericolo nella quale si trova il cronista, a tal punto che gli organismi preposti alla sicurezza hanno ritenuto prima di assegnargli e poi di rafforzargli la scorta».

I rappresentanti dei giornalisti italiani, si dicono «sicuri che saranno queste stesse autorità a spiegare all’avvocato la gravità delle sue insinuazioni» e ricordano che «in questa vicenda il cronista è parte lesa, in tutti i sensi: non solo per il tentativo di attentato, ma anche per il processo in corso che lo vede parte civile con noi a Catania».

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By Concetto Alota

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