Petrolchimico siracusano: i residenti stanchi di false promesse non combattono più contro arroganza e inquinamento

A cura di Concetto Alota

La storia del Petrolchimico si formalizza con la prima raffineria ad Augusta nel 1949 con la Rasiom nel territorio di Augusta; a seguire le industrie della chimica di base a Melilli e Priolo. Un evento epocale per gli abitanti dei comuni viciniori che sognarono l’Eldorado. In tanti abbandonarono le fatiche dell’agricoltura, della pesca e i lavori pesanti e mal pagati, quelli cosiddetti tradizionali, ma soprattutto di non essere costretti ad emigrare nel nord Italia o, peggio ancora, all’estero. Ma nessuno poteva immaginava che la grande industria nascente sul territorio siracusano avrebbe causato gravi squilibri ambientali e provocato mille problemi alla salute degli abitanti, con oltre agli oltre 300 feriti, tanti feriti e migliaia di malati cronici.

La vita degli abitanti del Petrolchimico si è consumata a discapito dei residenti, che hanno dovuto spesse volte chiudere precipitosamente porte e finestre delle proprie abitazioni per non respirare la puzza nauseabonda che arrivava dagli stabilimenti. La popolazione della zona industriale siracusana soffre ancora oggi delle mancate bonifiche e lotta contro l’inquinamento selvaggio tra silenzi e connubi, luci e ombre, donazioni e ossequi. E questo avviene in un’epoca che nega la verità incontrovertibile, specie nella parte in cui è aperta all’irruzione delle altre parti, la legislazione che regola il sussistere di una parte, per quanto sofisticata possa essere, è inevitabilmente aperta alle altre possibili verità che possono irrompere e cancellare quella che si credeva fosse la sola e assoluta verità. Si dispensano contributi ad associazioni a e istituzioni pubbliche e private. La politica e le istituzioni sono regolate dal timer del favoritismo. Ogni azione appare regolamentata dalla necessità che obbliga legge.

Inutilmente protestano i residenti, un popolo che da sempre combatte contro l’ingiustizia, l’arroganza e l’inquinamento selvaggio. E questo è l’effetto di una condizione sub-culturale che tarda a cambiare malgrado il disastro ambientale certificato ormai in tutte le salse. Assenti non giustificati i politicanti che utilizzano, specialmente in momenti bui, l’inquinamento come strumento di propaganda spacciandosi per paladini dell’antinquinamento a singhiozzo per ricevere favori e buona pubblicità.

Da un lato le aziende che offrono posti di lavoro in cambio del silenzio, ma dall’altro una politica corrotta e complice del disastro in atto che si è dimostrata incapace di sviluppare autonomamente un settore industriale parallelo o ingrandire il terziario, oltre che rimodernare verso le rinnovabili le fabbriche della morte. Solo facili finanziamenti a pioggia dello Stato per realizzare siti opifici mai aperti con capannoni, molti di amianto, rimasti in bella vista a certificare il doppio fallimento della politica e dalle industrie che hanno incassato i contributi e scomparsi nel nulla. Alla fine, è venuto fuori un mostro, un avvelenatore che inquina acqua, mare, terra e l’aria che si respira. Territorio dichiarato ad alto rischio di crisi ambientale dallo Stato italiano, ma abbandonato con il disastro sanitario che non si ferma, accumulando ammalati gravi e morti prematuramente.

S’intuiscono  e s’intravvedono interessamenti a tutto campo, prima forzatamente taciute, con diverse interferenze da parte di soggetti politici e di portatori di specifici interessi economici a favore delle industrie del petrolchimico, tali da condizionare la piazza, facilitando l’attività degli ambientalisti in cerca di soluzioni verso il risanamento del territorio con lotte difficili per la diffidenza della maggioranza della popolazione preoccupata dalla chiusura delle fabbriche. Ma tutto questo anche con un progetto recondito che mira a riconquistare il potere politico verso la lobby della chimica e della raffinazione, le cui attività sono messi in dubbio per la presenza perenne di puzza e miasmi; e questo nonostante gli interventi costosi per rimettere a norma gli impianti.

In questa intricata vicenda, è il cittadino a rimanere spiazzato e sbigottito nell’apprendere, peraltro fuori dal sacco, di tanti fatti venuti a galla e raccontati solo in parte dalla cronaca e solo da pochi giornali e giornalisti, di tante altre manchevolezze, stregonerie con tante omissioni nell’ambito di uno scambio di favori che non ha reso giustizia a tanti onesti cittadini che hanno dovuto subire nel passato tante, troppe, soverchierie del potere delle industrie in connubio con la politica deviata, marcia, putrefatta. Vi è dunque, un sottile filo rosso che alla fine svaluta la funzione di uomini che cercano forse altri favori e ancora vana gloria nella scalata della propria carriera, in un compito che può togliere la salute a degli innocenti rei soli di essere nati qui nell’inferno sulla terra e assolvere tanti colpevoli, delinquenti o corrotti che siano, poco importa.

La forza dell’intimidazione vince con il vincolo associativo nel gioco delle parti e la condizione di assoggettamento, di omertà, che deriva dalla paura dei colpi di testa annunciati. Ciò è particolarmente vero nelle aree tradizionalmente mafiose, dove più forte è la cultura della sudditanza, ma qui da noi, diventa un modus operante, una necessità che obbliga la legge del favore, come nella favola dei “ladri di Pisa”.

Il vero dramma sono bonifiche che alla fine (forse) non si faranno semplicemente perché mancano i fondi necessari. Si annunciano ma mancano i soldini. Una montagna di denaro che non c’è e forse non ci sarà mai; bonifiche che potrebbero, oltre a risanare il territorio, creare nuovi posti di lavoro. Il guaio che l’Europa non interviene in maniera decisa e concisa. Il fatto grave che periodicamente si legge sulla stampa “amica” d’interventi di politici d’assalto che parlano delle mancate bonifiche nei Sin, nella regola e vecchia maniera della corruzione e nella generalità di un territorio molto contaminato. Una vergognosa speculazione in generale che si registra sui Siti contaminati, dichiarati d’interesse nazionale. E mentre continuano i morti per tumori e bambini nati con malformazioni, i dati dello Studio Sentieri parlano di un eccesso di mortalità tra il 4 e il 5% nelle aree ad alto inquinamento intorno ai 45 Sin, che a sua volta sono tutti contaminati da pericolosi inquinati, specie in Sicilia, come i petrolchimici di Gela, Milazzo e Priolo, comprese le aree portuali di pertinenza; il mare della rada di Augusta è il più inquinato in assoluto. Ancor più grave, quando si vuole nascondere che fuori dal porto di Augusta le acque lungo tutta la costa sud orientale sono inquinate da fanghi contaminati da veleni industriali scaricati dalle industrie nella rada megarese e poi dragati e smaltiti nei fondali marini a tre miglia dalla costa che si sono sparse in lungo e in largo fino a Capo Passero, come riportava l’ex procuratore capo della Repubblica di Siracusa, Campisi; veleni che rimarranno lì, in fondo al mare, fino alla fine del mondo.

Tutte le industrie che si sono succedute nel tempo da oltre 70anni, sono colpevoli di aver provocato un disastro ambientale di proporzioni davvero catastrofiche; e non si può dire che la politica non è colpevole alla stregua delle lobby della chimica e della raffinazione. Poche le bonifiche realizzate, e nella maggior da parte dei casi per opera delle industrie private ma per le parti comuni o a carico dello Stato, come Priolo, Milazzo e Gela, non sono mai iniziate.

Bonifiche ancora nella fase iniziale o mai cominciate che sono al Sud, mentre al Nord la situazione è leggermente migliore, specie in Sicilia si registra l’aggravante che la popolazione inquinata appare ormai senza speranza: la contaminazione ambientale è smisurata e i soldi non ci sono, e, con questi lustri di luna, non ci saranno mai. Nemmeno l’azione giudiziaria è riuscita a smuovere i governi nazionali e regionali che fanno il bello e il cattivo tempo. Anche questo governo dribbla con il suo ministro dell’Ambiente che lascia scorrere il tempo con la scusa di informarsi su come stanno le cose fino alla prossima crisi, e buonanotte ai suonatori.

L’ambiente è stato da sempre svenduto, massacrato, in cambio di posti di lavoro; ma ormai si può parlare di vero disastro ambientale, di emergenza, quindi di un territorio fuori controllo, a mare e a terra difficile da bonificare. Un connubio ben consolidato tra industrie e politica.

Il presidente della Commissione Ecomafie, Vignaroli, durante i tre giorni di lavoro nell’isola con audizioni, sopralluoghi e incontri, alla fine ha tracciato una situazione apocalittica. Definita, già anni or sono, una colonia delle lobby della chimica e della raffinazione, in cui si fa ben poco per tutelare il mare, l‘ambiente e la vita; una risorsa importantissima per l’economia della zona, dove si registra da decenni un’alta mortalità per cancro.

Il secondo porto petrolifero d’Italia dopo Trieste appare ormai da troppo tempo senza una regia capace di difendere gli interessi della collettività, la salute dei residenti; negli Anni Settanta e Ottanta registrava il reddito pro capite tra i più alti del Meridione d’Italia, mentre ora registra una silente crisi che non lascia spazio all’imprenditoria seria e capace.

Che esista una questione meridionale, nell’espressione economica e politica nessuno lo mette in dubbio. C’è una grande sproporzione nel campo degli atti della politica in favore della vita collettiva, nella misura e nel genere in difesa della salute, dell’economia, per i reconditi legami che affrontano il tema benessere e l’anima di un popolo in una profonda diversità fra le consuetudini, tradizioni, il sociale, il senso intellettuale e morale.

Gli inquirenti indagano da sempre sulle fasi della lavorazione del petrolio e dei suoi derivati. Il sospetto conferma che può comportare rischi per le persone che siano esposte agli effetti dei prodotti finali fuori controllo, gas combustibili, zolfo, Gpl, benzine, gasoli, oli, bitumi e altro prodotti nei vari cicli tecnologici e di distillazione, cracking, reforming. E ancora, le sostanze utilizzate in tali cicli o aggiunte ai prodotti finali e o alle sostanze di scarto raccolte come rifiuti emesse nell’ambiente, compreso i reflui industriali e fognari trattati nei depuratori, scarti bruciati e scaricati in torcia e tanto altro ancora.

 

 

 

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