Inquinamento e gli obiettivi falliti: gli Stati non rispettano i programmi concordati in difesa dell’Ambiente

Sono centinaia gli obiettivi in difesa dell’ambiente che gli Stati ricchi e potenti del mondo hanno programmato, ma non sono stati rispettati. Per il 2020, tra le tante atre cose, insiste la promozione dell’attuazione di una gestione sostenibile di tutte le foreste, fermare la deforestazione, promuovere il ripristino delle foreste degradate e aumentare notevolmente la riforestazione a livelli globale, obiettivi: falliti. Per il 2030 ancora una sfilza di programmi che non potranno essere garantiti; come la conservazione degli ecosistemi, compresa la loro biodiversità, al fine di migliorare la loro capacità di fornire prestazioni che sono essenziali per lo sviluppo sostenibile.

Occorre poi una revisione totale delle norme di legge sul CO2, che prevede obiettivi e strumenti per la riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030. Contemporaneamente occorre preparare lo sviluppo a più lungo termine, oltre il 2030. Si dovrà ridurre le l’emissione di gas serra a un saldo netto pari a zero entro il 2050.

Per concretizzare questo obiettivo, l’UFAM sta elaborando una strategia climatica a lungo termine, la quale illustrerà come si potrà può raggiungere tale obiettivo, creando al contempo le condizioni quadro per una discussione sul ruolo delle tecnologie a emissioni negative nella futura politica climatica nel mondo.

A partire dal 2050, non si dovrebbe più emettere nell’atmosfera gas serra che non possono essere riassorbiti mediante serbatoi naturali o tecnici, emissioni nette pari a zero. Ci prova la Svizzera con un programma ambizioso, ma se gli atri stati non si adeguano, sarà tutto inutile. Ciò richiede un’ampia riduzione delle emissioni principalmente nei settori edifici, trasporti e industria. Le emissioni inevitabili o molto difficili da evitare derivano soprattutto dall’agricoltura dai processi industriali. Queste emissioni residue devono essere compensate con l’impiego di serbatoi naturali e tecnici, i cosiddetti pozzi di carbonio.

Occorre dare piena attuazione all’impegno assunto nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per raggiungere l’obiettivo di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari all’anno, per affrontare le esigenze dei paesi in via di sviluppo, nel contesto delle azioni di mitigazione significative e della trasparenza circa l’attuazione e la piena operatività al Verde attraverso la capitalizzazione nel più breve tempo possibile. Occorri inoltre, garantire dei nuovi modelli sostenibili di produzione e di consumo senza inquinare l’ambiente.

L’obiettivo climatico 2050 è il risultato di una revisione degli Stati che aderiscono agli obiettivi a lungo termine, come ha fatto la Svizzera, richiesta partita dal Consiglio federale nell’autunno 2018. Nel 2015 la Svizzera aveva presentato a livello internazionale un obiettivo di riduzione del 70-85 per cento entro il 2050 rispetto al 1990, da raggiungere in parte con misure attuate all’estero. Nel frattempo, circa 20 Paesi, tra cui Francia, Regno Unito, Svezia, Giappone e Cile – l’UE hanno annunciato obiettivi di emissioni nette pari a zero o li hanno già inseriti nelle rispettive legislazioni nazionali. La Norvegia, ad esempio, intende arrivare a un impatto climatico pari a zero già entro il 2030, la Svezia entro il 2045 e la Gran Bretagna entro il 2050, cui si aggiungono vari Stati federali (ad es. la California) e città (ad es. New York, Londra, Parigi o Zurigo), che puntano anch’essi a un saldo netto pari a zero, alcuni dei quali già ben prima del 2050.

Altri obiettivo falliti. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nella Regione dell’Oms Europa, il 20% delle morti nel totali potrebbero essere evitate con interventi ambientali, ma le differenze sono sensibili: i rischi sono minori nell’Europa occidentale e settentrionale, mentre sono più alti in alcuni Stati dell’Europa orientale, a causa di fattori ambientali sia tradizionali, come la qualità dell’acqua, e, più recenti, l’inquinamento atmosferico e chimico. E ancora. Per le notevoli variazioni fra i diversi Paesi nel carico delle malattie dimostra che questi pericoli possono essere evitati, e ci dà una speranza per il futuro. In Europa i bambini sono più esposti ai rischi ambientali: sotto i 19 anni, la percentuale di morti dovute a cause ambientali sale al 34%. In l’Italia, i dati indicano che la percentuale del carico delle malattie attribuibili a cause ambientali è del 14%, per un totale di 91.000 morti all’anno, di cui 8.400 per inquinamento atmosferico.

I rischi ambientali d’inquinamento, nella buona sostanza, le discariche a cielo aperto, industrie estrattive, della chimica e raffinazione, le radiazioni ultraviolette, i fattori occupazionali, i cambiamenti climatici e degli ecosistemi, i rumori, l’edilizia, l’agricoltura e i comportamenti delle persone, nel cattivo smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi. Le malattie causate da questi fattori comprendono infezioni allo stomaco e alle vie respiratorie, come asma, malattie cardiovascolari, oltre agli infortuni e ai disturbi dello sviluppo del sistema nervoso. I dati indicano che in tutti i Paesi la salute della popolazione potrebbe migliorare molto riducendo i rischi ambientali: in tutto il mondo si potrebbero evitare 13 milioni di morti ogni anno. Nessun Paese è immune dal fenomeno, ma i dati mostrano anche enormi diseguaglianze: nei Paesi a basso reddito gli anni di vita in buona salute persi a causa di disabilità (Daly) sono venti volte quelli dei Paesi ricchi. Tra i più colpiti ci sono Angola, Burkina Faso, Mali e Afghanistan.

In alcuni Paesi, addirittura un terzo delle malattie potrebbero essere prevenuti con miglioramenti ambientali. In 23 Paesi più del 10% delle morti sono dovute alla cattiva qualità dell’acqua e all’inquinamento nei luoghi chiusi causato dall’uso di combustibili per cucinare. La fascia di popolazione più colpita è quella dei bambini fino a 5 anni, che rappresentano il 74% dei morti per malattie diarroiche e infezioni alle basse vie respiratorie. Per ridurre in modo significativo il tasso di morti sarebbero quindi molto utili gli interventi al livello delle abitazioni: l’uso di gas o elettricità per cucinare, il miglioramento della ventilazione e il cambiamento di alcune abitudini di vita (per esempio, tenere i bambini lontani dal fumo di tabacco).

A livello locale o nazionale alcuni interventi consigliati consistono nel migliorare la qualità dell’acqua e introdurre nuove politiche energetiche. Per esempio, ridurre i livelli di inquinamento (misurati in base alle polveri sottili PM10) salverebbe circa 865.000 vite all’anno. Vale anche per l’inquinamento selvaggio; occorre essere chiari sul senso dell’esistenza di sostanze, o di tracce nei limiti legali o addirittura fuori dalle norme, o dalle soglie dei meccanismi sull’effetto nella vita in genere. Poca strategia ma tanta esperienza scientifica, con il risultato che non sappiamo con certezza se alla base della definizione dei limiti previsti dalle norme in generale ci sia la verità.

Definizione dei valori limiti di soglia con spalle un approccio strategico di valutazione e gestione del rischio per gli esseri viventi. Nel caso nostro, nel territorio siracusano, un esempio riguarda la qualità dell’aria. Il riferimento è ai valori guida riportati dall’Oms, che sono molto inferiori rispetto ai limiti previsti dalla direttiva europea sulla qualità dell’aria. Lo stesso vale per il tema della classificazione delle sostanze: pericolosità, cancerogene, tossiche, distruttore endocrino; e questo dovrebbe avvenire attraverso procedure rigide di controllo, oltre che delle semplici norme scritte dai governati di turno che nessuno rispetta.

Tutto chiaro, valido, se non fosse per il semplice fatto che la scrittura delle norme sia una cosa, l’applicazione tutt’altra cosa. Infatti, le varie inchieste che hanno portato al sequestro degli impianti applicano le norme in corso di validità. Partendo dal principio che le industrie, di fatto, non vogliono applicarle, visto che sono finite parecchi volte nella morsa della giustizia. Oltre alle attuali norme permissive, insiste la burocrazia della giustizia italiana a dare una mano agli inquinatori. Il lungo periodo dei processi e gli stratagemmi che di volta in volta avvocati super pagati trovano tra le pieghe delle norme, rendono, di fatto, inutile ogni sforzo. In parallelo alle nuove norme sugli inquinanti, a parte la corruzione che appare come l’anima della nostra malata democrazia, occorre cambiare le leggi troppo permissive verso le industrie e gli inquinatori di professione, oltre allo scandaloso periodo della prescrizione dei reati. La politica a tutti i livelli finora è stata la prima alleata di chi inquina; e questo è confermato dal silenzio dei sindaci dei comuni industriali in primis e dal connubio con i governi regionali e nazionali che si sono avvicendati negli anni.

Concetto Alota

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