La quarta donna: la catabasi nella realtà.

L’avvocato Diego Bene, in una notte insonne, vede affacciarsi nella sua coscienza le contraddizioni irrisolte della propria vita. È giunto alla soglia dei cinquant’anni con lo stesso discernimento di sempre, come se nulla fosse accaduto. La realtà che gli si palesa gli toglie il sonno. Quella stessa mattina, come ogni mercoledì, prende il treno per recarsi in provincia, dove, come a Roma, esercita la professione. Sul treno incontra un collega, Paolo, e un magistrato sostituto procuratore aggiunto, Maria Rosaria Testi. Incontra anche tre ragazze che sulle prime fatica a riconoscere come prostitute. Una in particolare, nel viaggio di ritorno, si intrattiene con lui in un dialogo che lo lascia interdetto. In alcuni colloqui con l’amico Paolo, a Roma, Bene gli palesa il dubbio che la ragazza del treno volesse comunicargli qualcosa, come se fosse in pericolo e, in modo riservato, gli stesse chiedendo aiuto. Bene si rammarica di avervi fatto un’attenzione tardiva.

Successivamente viene a sapere, da un’altra delle tre ragazze del treno, che quella con cui aveva parlato è tornata in patria, in Romania. Presto però, come temeva, gli si palesa la realtà: la ragazza è stata assassinata.

Nei successivi colloqui avuti da Bene con lo stesso Paolo e con un amico ufficiale della Procura della città di provincia dove esercita il mercoledì, l’avvocato intuisce di essere sotto osservazione. L’ufficiale lo mette sibillinamente in guardia, informandolo che le indagini seguono la pista di un delitto a sfondo maniacale. Il giorno dopo infatti viene convocato in Procura a Roma per deporre come persona informata sui fatti. Il giudice che lo ascolta è lo stesso sostituto procuratore Maria Rosaria Testi. La deposizione si svolge in una dinamica che vede l’avvocato più come un indagato che come un testimone. Bene capisce che se vuole uscire dall’angolo dove lo stanno stringendo, deve approfondire il rapporto con le altre due prostitute colleghe della vittima.

Alcuni giorni dopo incontra in tribunale a Roma un vecchio amico, ispettore capo di Polizia, Pilade Pierpaoli: un passo verso la soluzione del caso. Questi aiuta concretamente l’avvocato nelle sue indagini. Assieme scoprono che il caso Catrina – la lucciola assassinata – è molto più vasto e di carattere nazionale/internazionale, coinvolgendo oltre al meretricio, il traffico della droga e delle armi e la tratta di esseri umani nel fenomeno dell’immigrazione clandestina. Pilade costringe Bene anche ad andare in Romania dove lo conducono i dati di una targa d’auto fotografata dall’avvocato sui luoghi del lenocinio.

Qui, anche grazie all’aiuto di una ragazza, Mariana, conosciuta nell’Automobil club locale, compie un percorso a ritroso nella memoria – dodici anni prima era stato in vacanza in Romania – che lo porta a scoperte di capitale importanza. Bene si scopre “moralmente” correo nel destino della ragazza assassinata, nonché in quello che coinvolge le altre prostitute. Sconvolto, torna in Italia e, dopo due ulteriori incontri chiarificatori con Pilade, trova la chiave per risolvere il caso, anche grazie all’intervento di un’altra persona. Ma il motivo della iato tra il sé e la sua realtà effettiva, come anche quella esterna a sé, ricollega il Postludio del romanzo al Preludio che l’aveva aperto.

Il romanzo thriller La quarta donna, di Giampiero Bernardini, appartiene al genere “giallo” in un modo che è nel contempo sostanziale e pretestuoso. Lo è nel primo caso, perché si tratta di una storia thrilling ricca di tutti gli elementi del genere il mistero iniziale, la rivelazione della fondatezza dei propri timori, il riconoscersi mano a mano come sempre più compromesso nel destino della vittima e delle sue colleghe, non tanto nella prospettiva della legge quanto in quella della propria coscienza, i rischi reali e le situazioni limite che sperimenta nella ricerca della verità –. Ma lo è anche e soprattutto nel secondo caso perché il fine ultimo della narrazione sembra essere quello di una denuncia dell’involuzione spirituale cui quasi tutti i protagonisti della vicenda – salvo poche eccezioni – subiscono. Inoltre l’autore sembra avere l’intenzione di comporre un quadro, certamente parziale, della complessa ricerca di un obiettivo e un’identità nella realtà attuale.

Agli occhi di Bene, la giustizia che tenta di metterlo sotto accusa è essa stessa vittima di una malattia spirituale che le impedisce di guardare oltre le proprie convinzioni. Come anche la sua stessa – di Bene – incapacità di riconoscere le cose per quello che sono e chiamarle con gli autentici – e non quelli fittizi – nomi che le caratterizzano. È in questa continuità con gli umori, le opinioni, il modus cogitandi o wishful thinking del proprio presente che il protagonista riconosce il proprio fallimento. Volere una realtà diversa ma agire in direzione opposta a questa ambizione.

Un testo politicamente scorretto, quindi, che non ha téma di scoperchiare tanto le ipocrisie della società italiana e occidentale della nostra epoca, quanto le impronunciabili complicità che legano i loschi Caronte dell’immigrazione clandestina agli ipocriti buonisti e faccendieri italiani che si adoperano attorno al fenomeno.

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