The Day After: il ritorno dei sopravvissuti

Sembra lo scenario di un film andato qualche anno fa. Non è così purtroppo. Eppure sembra proprio di vivere dentro le scene di un film catastrofico, in cui noi siamo i protagonisti. Siamo attori di un film che non avremmo mai voluto girare, che ci riporta a situazioni lontane dal nostro immaginario, ma, viste appunto solo nei cinematografi. Stiamo vivendo una vera Apocalisse. In un tempo in cui la socialità era la peculiarità più affermata, siamo costretti ad un isolamento dei rapporti, che non avremmo mai potuto immaginare prima. Una crisi che ci riporta ai tempi della guerra, della quale non potevamo avere conoscenza diretta se non attraverso quanto studiato sui libri di scuola. Uno scontro con una realtà fatta di vittime, di dolore, di sofferenza, di lacrime e di silenzio… urlato dietro una mascherina, aggrappato a mani guantate, a uomini ed a donne intubate, che muoiono nella loro disarmante innocenza per un contagio non voluto, per un destino spietato, per il tragico incontro con il Covid 19, un nemico senza tuta mimetica, né mitragliatrice, ma, difficilissimo da sconfiggere.
L’emergenza Coronavirus ha sollevato un muro invisibile tra noi e il mondo. Sperimentiamo ogni giorno la tristezza di stare in casa da soli, spesso avendo i nostri affetti lontani da noi, senza poterli abbracciare. La nuova guerra si vive nelle corsie degli ospedali, attraverso una battaglia continua ed incessante, combattuta contro un nemico invisibile, quasi sconosciuto ed insidioso, tanto da far ammalare decine di migliaia di persone di ogni età e di condurne moltissime alla morte… Un virus con un nome beffardo, come di chi voglia conquistare il mondo… Un tipo di morte cruda, spietata, solitaria, vissuta senza il conforto dei propri cari. Bare che si accatastano come scatole di cartone e forni crematori sempre accesi. Un genocidio perpetrato da una mano invisibile, sconosciuta, di un nemico spietato, orrendo. Le frasi dei bimbi sui social lo dipingono come il “brutto Coronavirus”, quasi come il lupo cattivo delle fiabe. Un lupo moderno invincibile, dotato di un’armatura impenetrabile. Abbiamo assistito ai canti sui balconi, a disegni ed a scritte che si accatastavano per esorcizzare le paure e per osannare ad un’ipotetica vittoria, che oramai sono un ricordo con l’incalzare dei giorni, con le vittime che aumentano di ora in ora. Un tam tam continuo tra un social e l’altro: un bollettino di guerra. Risuona insistente il silenzio in un cielo cupo, attonito, di una primavera assente di sole e di luce, priva di gioia. La preghiera accorata ritorna ad essere l’arma più profonda e più sentita. I sacerdoti che decidono di professare, uscendo dai tetti delle chiese, percorrendo strade deserte, imbracciando solo il Cristo, incitano con un megafono alla resistenza, fatta di preghiera, dolore e… speranza. La pazienza della preghiera, fatta di quell’attesa attonita, che aspetta che qualcosa cambi, che il numero di vittime non salga più. Un tempo di attesa. Un tempo di disperazione, di lutti e di sfiducia, di attese disattese. Gli occhi ai telegiornali perché si possa capire e sapere sempre di più su ciò che non è possibile capire né sapere. Le dita a pigiare tasti su un cellulare per rimanere connessi col mondo, con gli affetti lontani, scorrendo immagini tra le più svariate, fatte di colori, di canti, di musiche, di scene, di figure, di foto, di video, di frasi, di citazioni allegre, tristi, scherzose, gaie, infelici, fotogrammi che si mescolano come le tessere di un puzzle infinito in un andirivieni convulso, martellante tra notizie e smentite. E poi le fotografie di quanti non ce l’hanno fatta, che ogni giorno, come soldati di un plotone costituito da buoni cittadini e da valorosi guerrieri, cadono sotto i colpi del nuovo nemico, di quel virus che non lascia scampo, impietoso e terribile, che colpisce i polmoni e non lascia spazio al respiro, alla speranza nel domani, alla vita… Una reclusione non sempre accettata, spesso violata, osteggiata da quanti non hanno ancora compreso la gravità dell’evento, che genera lutti su lutti perché il virus-con-la-testa-coronata non guarda in faccia le sue vittime, le falcia senza pietà, mentre sono in isolamento, lasciandole a combattere in assoluta solitudine una battaglia spietata. Si muore senza conforto e senza benedizione. Vige solo la difensiva di guerrieri bianchi, puri, impavidi, armati soltanto di respiratori e di amore, con i loro camici toccati, intrisi di dolore, di pianto, di sofferenza. Sono i medici, eroi del terzo millennio, paladini di questa crociata insieme agli infermieri, agli oss, agli osa, agli ausiliari, a tutti i volontari del soccorso. Guidano una lotta al nemico blasonato fino allo stremo delle loro forze, cadendo pur’essi in campo, dimentichi del tempo, una corsa con lo scorrere di questo per salvare quante più persone possibile. I volti madidi, i lividi sul viso per troppe ore di maschera, troppe ore a combattere una guerriglia virale, che sembra non voler finire mai… Eroi insieme alle forze dell’ordine, alla protezione civile e ai volontari di ogni genere tra la gente comune, che sta lottando perché la vita torni a germogliare. Una filiera che, come una catena di montaggio, sta proseguendo a rischiare la vita per consentirci di continuare a vivere, per garantirci una comune parvenza di esistenza. Una lista infinita di argomenti potrebbero essere menzionati, troppa carne al fuoco, troppi i ragionamenti e troppo si rinnova il dolore per tanto strazio. Il Coronavirus è la piaga del terzo millennio e miete vittime senza guardarle in faccia, stende ricchi e poveri, personaggi noti e meno noti, anziani e giovani da nord a sud, da est ad ovest perché il contagio si dirama come l’effetto domino, con una potenza inarrestabile.
Quando tutto finirà e perderà la propria potenza questo “brutto Coronavirus”, per richiamare il gergo infantile, sarà troppo tardi, forse la Natura sarà la sola che ringrazierà…Sarà certamente una magra vittoria quella dei sopravvissuti, che vedranno l’alba infausta del “The Day After”.
Maria Luisa Vanacore

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