In questi giorni – per la precisione dal 30 novembre – è presente nelle sale cinematografiche italiane un film – Il primo Re – ispirato al mito della fondazione di Roma e al rapporto conflittuale – per il volere degli Dei – tra i gemelli Romolo e Remo. Al di là del significato intrinseco del film e delle motivazioni che sottendono alla scelta del soggetto, così raro e desueto nell’orientamento minimalista del cinema italiano degli ultimi decenni, resta il fatto che sta avendo successo un film che celebra il senso “sacro” che accompagna la nascita, lo sviluppo, la gloria, la decadenza e la rinascita (nel Rinascimento, appunto), della città eterna. Un arco temporale di quasi tremila anni che rende Roma una città unica al mondo, che nell’espansione irresistibile dal tempo dei Re, alla Repubblica e poi all’Impero, trova, grazie al lascito immenso delle sue istituzioni e della sua cultura, un nuovo primato stavolta spirituale e religioso, che la rende ancora per molti secoli dalla caduta dell’Impero romano nel 476 d.C., Caput mundi.
Un’eredità spirituale, morale e materiale che è ben visibile ancora oggi e che rende la città una somma di peculiarità e di vocazioni: ruolo politico in quanto capitale di uno stato; ruolo politico-religioso in quanto capitale del cristianesimo; città d’arte, museo a cielo aperto (oltre ai suoi innumerevoli musei al coperto) per l’insieme di monumenti, chiese, palazzi, fontane, ville, obelischi, raccolte museali che essa racchiude in sé.
Davanti a tutto questo, viene da chiedersi: quanto di tanta storia, bellezza, spiritualità sovrapposizione di simboli, sopravviva nel governo della città e nell’ordinaria vita di tutti i giorni, oggi a Roma?
Le cronache di questi ultimi anni sono impietose. Non solo sulle testate cittadine, ma sui giornali di tutta Italia sono all’ordine… diciamo della settimana, se non del giorno, episodi che testimoniano la decadenza – amministrativa, di decoro e forse di civiltà – della città eterna. Non è un problema di oggi, s’intende; i dissesti di Roma risalgono almeno alla fine del secolo scorso, ma è in questo ultimo lustro o poco più che si parla di decadenza di una città. A volte persino di “agonia” di una città.
La mobilità, in primis; perché è attraverso essa che la città vive, lavora, va a scuola, accoglie gli innumerevoli e sempre numerosi turisti. I problemi forse maggiori li presenta la rete di metropolitane: la linea A, inaugurata nel 1980, è la più dolente. Non v’è quasi stazione dove non vi sia problema di scale mobili o di ascensori. La velocità è ridotta, spesso vi sono rallentamenti incomprensibili. Se negli anni ottanta si impiegavano 25 minuti da Ottaviano ad Anagnina, oggi per lo stesso percorso ci vogliono quasi 40 minuti. Poi v’è l’aspetto critico della manutenzione. Basti pensare che la stazione di Repubblica – nel pieno centro della città – per un incidente accaduto a ottobre 2018 in una delle scale mobili, e che ha visto coinvolti molti tifosi di una squadra di calcio russa, è tuttora chiusa. In quattro mesi non si è ancora riusciti a ripristinare un servizio utile a decine di migliaia di persone al giorno. Meno disastrata, anche se essa stessa problematica, la linea B, risalente però agli anni Cinquanta. Più efficace la linea C, da poco inaugurata.
La pulizia della città, nel suo centro storico patrimonio universale dell‘Unicef, è l’altro dato iper critico di Roma. Le immagini delle strade oberate di rifiuti esondanti dai cassonetti, dove è impossibile avvicinarsi ai raccoglitori perché i sacchi impediscono di raggiungerli, è una triste cartolina della città. Essa s’accompagna a Piazza Navona, a Fontana di Trevi, a San Pietro e al Colosseo. Pare essere la dimensione estetica post-moderna della città. Come in una istallazione artistica d’avanguardia. Ma qui, oltre alle responsabilità delle amministrazioni più recenti della città, entrano in gioco anche l’educazione e il civismo di chi vive e usa Roma, il caput mundi della negatività contemporanea, come se fosse essa stessa un cassonetto. Ma di questo, per la specificità e delicatezza dell’argomento, si parlerà in altra occasione.