Da Lygdamis a Busà, i siciliani vincitori alle Olimpiadi

Dal lottatore siracusano Lygdamis, trionfatore nel pancrazio, nel 648 a. C. ad Olimpia, all’avolese Luigi Busà, vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokio 2020. Una storia lunga oltre 2600 anni che ripercorre le gesta di atleti siciliani alle antiche e alle moderne Olimpiadi. Una storia condensata nel libro del giornalista Francesco Nania dal titolo “Siciliani a cinque cerchi”, (A&A edizioni pagg. 210 disponibile sulla piattaforma Amazon al prezzo di 21.90 euro). Il volume di Nania parte dalla considerazione che la Sicilia annoveri numerosi atleti che hanno trionfato ai giochi panellenici di Delfi, Nemea, Corinto ma soprattutto ad Olimpia. Tra VI e IV secolo a. C., su quattrocento olimpionici di cui si conservano i nomi, trentacinque sono sicelioti con un numero massimo di ventiquattro raggiunto nel V secolo a. C., in concomitanza con il periodo di grande splendore della nostra isola con le tirannidi di Siracusa e di Agrigento.
Nelle pagine del libro rivivono le gesta di Esseneto di Agrigento, vincitore nella corsa dello Stadion, Gelone che fu il primo tiranno a comprendere l’importanza propagandistica delle vittorie agonistiche, Ierone partecipando e vincendo nella corsa dei cavalli e quando, ferito in battaglia, non potè essere presente, inviò lo stesso il suo cavallo baio Pherenikos.
C’è poi il caso del velocista Astylos che, dopo avere vinto le Olimpiadi per la città natale Kroton, fu convinto dal tiranno Dionisio a correre per Siracusa, trionfando in altre due Olimpiadi, e lo stesso tiranno Dionisio che partecipò con le sue odi, o Tisandro da Naxos, fra i più titolati avendo vinto per quattro volte nel pugilato. Si arriva all’ultimo vincitore ad Olimpia, Lamachos di Tauromenion nel 56 a. C. nella prova dello stadio.
Il libro ripercorre la carriera e le imprese degli atleti siciliani alle Olimpiadi moderne, con i capitoli suddivisi nei vincitori di medaglie d’oro, d’argento e di bronzo. Dal palermitano Pietro Speciale, il primo oro conquistato da un atleta siciliano, nel 1920 ad Anversa, nella specialità del fioretto, insieme con Gargano e Canova nella spada. Spazio anche allo sciabolatore Vincenzo Cuccia, al pistard Guido Messina, agli sciabolatori Arcidiacono e Scalzo ai pallanotisti siracusani Campagna e Caldarella, allo spadista Maurizio Randazzo, alle ragazze dell’Orizzonte Catania di pallanuoto, agli schermidori Giorgio Avola e Daniele Garozzo.
Dalle pagine del libro emergono anche personaggi di grande carisma come il mezzofondista Totò Antibo, tartassato dalla sfortuna ma capace di imprese memorabili; l’arbitro internazionale Concetto Lo Bello, direttore di gara della finale di calcio alle Olimpiadi di Roma nel 1960; Wladimiro Calarese, messinese che dopo avere vinto la medaglia d’argento alle Olimpiadi, volò a New York per partecipare a una ricerca d’ingegneria aeronautica per conto dell’Università degli affari nazionali di amministrazione dello spazio di New York.
“Vincere una medaglia ai Giochi per un connazionale è oramai impresa ardua – scrive Enzo Pdennone nella prefazione al libro – tale è la concorrenza al mondo in tutte le specialità, dai Caraibi all’Africa del Maghreb e subsahariana. Ma per Totò Antibo da Altofonte, un tempo centro di caccia di Ruggero II re dei Normanni, la concorrenza è come il cacio sui maccheroni per prepararsi alla battaglia. E nella regione del 53° parallelo, a Seul nell’88, il corridore dei nostri altipiani affila le sue terribili armi, il coraggio più d’ogni altra cosa e sfiora il successo; ne è testimone Paolo Rosi, il telecronista RAai, prima sussulta e poi si dispera per la sua tardiva rimonta. Il testimone lo raccoglie, sedici anni dopo, Peppe Gibilisco, un biondo siracusano del quartiere Tyche. Che alla moto, passione giovanile, preferisce, fortuna sua, una lunga asta un tempo di bambù, ora in fibra di carbonio.

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