La filosofia esistenziale del boss, dalle lettere scritte a Svetonio il ritratto di Messina Denaro – La vita, il destino, la morte

La vita, il destino, la morte.

Ma anche l’ergastolo, il 41 bis, il processo penale e l’opzione del pentimento.

 La vita, il destino, la morte.

Ma anche l’ergastolo, il 41 bis, il processo penale e l’opzione del pentimento.

Ecco come si pone Matteo Messina Denaro di fronte a tutto questo. La summa della sua filosofia esistenziale emerge nitida dalla corrispondenza scambiata con l’ ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, morto di Covid nel maggio del 2021.

    Personaggio singolare Vaccarino: massone, insegnante di lettere, amico del padre di Matteo. Vaccarino fu condannato per traffico di stupefacenti ma fu assolto dall’accusa di mafia.
    Nell’epistolario Matteo Messina Denaro si firmava “Alessio” ed all’interlocutore attribuì il nome di “Svetonio”, l’autore romano di “De viris illustribus”. “Alessio” non lo sospettava, ma Svetonio, era stato arruolato dai servizi segreti per catturare il latitante. Riletto oggi, quel carteggio può fornire molte risposte alle domande d’attualità che non è possibile porre al boss trapanese. Dal suo rapporto con la morte, visto che secondo i medici il tumore gli lascerebbe poco da vivere, alla possibilità assai remota che il boss possa pentirsi e decidere di collaborare. Ecco i passaggi più significativi che sintetizzano il suo pensiero.
    Il libero arbitrio non esiste. “Un uomo non può cambiare il suo destino ma lo può vivere con dignità, da uomo vero”.
    La morte mi troverà a testa alta. “Con la morte ho un rapporto particolare. Da ragazzo la sfidavo con leggerezza da incosciente, da uomo maturo la prendo a calci in testa perché non la temo. Non è una questione di coraggio. Semplicemente non amo la vita. Teme la morte chi sta bene su questa terra e ha qualcosa da perdere. Io non ci sto bene su questa terra, il mondo così com’è non mi appartiene. Quando la morte verrà mi troverà a testa alta e sarà uno dei pochi momenti felici che ho vissuto”.
    Il carcere duro. “Quando uno stato ricorre alla tortura per vendetta che stato è. Uno stato che fonda la giustizia sulla delazione che stato è. Hanno istituito il 41 bis e hanno sospeso i diritti dei carcerati, nelle carceri praticano la tortura. È un paese civile che fa questo? Facciano pure ma ci sarà sempre chi non svenderà la sua dignità”.
    Processi ed ergastolo. “Forse un giorno si abolirà l’ergastolo ma non si rivedrà la nostra posizione nei processi.
    Io ho condanne assurde senza uno straccio di prova oggettiva, solo due pentiti contro di me che dicono la stessa cosa e a volte basta un pentito solo o più pentiti che si contraddicono.
    Ho revocato i miei avvocati e non mi difenderò più, facciano quello che vogliono. La mia non è una sfida, non lancio sfide con le scartoffie, per me la sfida ha un valore nobile”.
    Cadere e rialzarsi. “Non so se sono stato un grande uomo, ma mi sono dovuto misurare con la mediocrità degli altri e, per difendere la mia indipendenza, ho conosciuto la disperazione pura, la solitudine, l’inferno. Sono caduto mille volte e mille volte mi sono rialzato. Sono caduto nella polvere e me ne sono nutrito. Ho conosciuto l’ingratitudine e la solitudine mi ha reso ciò che sono”.
    Protagonista sempre. “Io sono un niente, un perdente, ma se qualcuno avrà bisogno di questo niente sono a sua disposizione.
    Non ho più sogni ma combatterò fino all’ultimo istante, fino all’ultimo respiro. Da protagonista”. 

di fronte a tutto questo. La summa della sua filosofia esistenziale emerge nitida dalla corrispondenza scambiata con l’ ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, morto di Covid nel maggio del 2021.

    Personaggio singolare Vaccarino: massone, insegnante di lettere, amico del padre di Matteo. Vaccarino fu condannato per traffico di stupefacenti ma fu assolto dall’accusa di mafia.
    Nell’epistolario Matteo Messina Denaro si firmava “Alessio” ed all’interlocutore attribuì il nome di “Svetonio”, l’autore romano di “De viris illustribus”. “Alessio” non lo sospettava, ma Svetonio, era stato arruolato dai servizi segreti per catturare il latitante. Riletto oggi, quel carteggio può fornire molte risposte alle domande d’attualità che non è possibile porre al boss trapanese. Dal suo rapporto con la morte, visto che secondo i medici il tumore gli lascerebbe poco da vivere, alla possibilità assai remota che il boss possa pentirsi e decidere di collaborare. Ecco i passaggi più significativi che sintetizzano il suo pensiero.
    Il libero arbitrio non esiste. “Un uomo non può cambiare il suo destino ma lo può vivere con dignità, da uomo vero”.
    La morte mi troverà a testa alta. “Con la morte ho un rapporto particolare. Da ragazzo la sfidavo con leggerezza da incosciente, da uomo maturo la prendo a calci in testa perché non la temo. Non è una questione di coraggio. Semplicemente non amo la vita. Teme la morte chi sta bene su questa terra e ha qualcosa da perdere. Io non ci sto bene su questa terra, il mondo così com’è non mi appartiene. Quando la morte verrà mi troverà a testa alta e sarà uno dei pochi momenti felici che ho vissuto”.
    Il carcere duro. “Quando uno stato ricorre alla tortura per vendetta che stato è. Uno stato che fonda la giustizia sulla delazione che stato è. Hanno istituito il 41 bis e hanno sospeso i diritti dei carcerati, nelle carceri praticano la tortura. È un paese civile che fa questo? Facciano pure ma ci sarà sempre chi non svenderà la sua dignità”.
    Processi ed ergastolo. “Forse un giorno si abolirà l’ergastolo ma non si rivedrà la nostra posizione nei processi.
    Io ho condanne assurde senza uno straccio di prova oggettiva, solo due pentiti contro di me che dicono la stessa cosa e a volte basta un pentito solo o più pentiti che si contraddicono.
    Ho revocato i miei avvocati e non mi difenderò più, facciano quello che vogliono. La mia non è una sfida, non lancio sfide con le scartoffie, per me la sfida ha un valore nobile”.
    Cadere e rialzarsi. “Non so se sono stato un grande uomo, ma mi sono dovuto misurare con la mediocrità degli altri e, per difendere la mia indipendenza, ho conosciuto la disperazione pura, la solitudine, l’inferno. Sono caduto mille volte e mille volte mi sono rialzato. Sono caduto nella polvere e me ne sono nutrito. Ho conosciuto l’ingratitudine e la solitudine mi ha reso ciò che sono”.
    Protagonista sempre. “Io sono un niente, un perdente, ma se qualcuno avrà bisogno di questo niente sono a sua disposizione.
    Non ho più sogni ma combatterò fino all’ultimo istante, fino all’ultimo respiro. Da protagonista”. 

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