Un innovativo studio condotto dal Dipartimento di Chimica e di Scienze Geologiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia apre nuove prospettive nella lotta contro la siccità e nella gestione sostenibile delle risorse idriche. Grazie a una ricostruzione tridimensionale dei depositi alluvionali del fiume Secchia, i ricercatori hanno individuato con maggiore precisione i siti più idonei per la ricarica controllata degli acquiferi (Managed Aquifer Recharge, MAR), una tecnica che consente di immagazzinare acqua superficiale nelle falde sotterranee per contrastare periodi di carenza idrica e ridurre il rischio di esondazioni.
«Grazie alla ricostruzione tridimensionale del modello geologico dei depositi alluvionali del fiume Secchia – spiega Alessio Mainini, geologo dell’ateneo emiliano – abbiamo potuto individuare con maggiore precisione i siti più idonei alla ricarica controllata degli acquiferi. Lo studio evidenzia quanto sia fondamentale disporre di un modello stratigrafico-geologico dettagliato per selezionare correttamente le aree destinate a progetti di MAR. Si tratta di una strategia concreta e sostenibile per contrastare la siccità e il sovrasfruttamento delle risorse idriche, ma anche per mitigare il rischio di esondazioni».
L’area di indagine ha riguardato i depositi alluvionali del fiume Secchia, nel tratto compreso tra Sassuolo e Modena, zona di transizione tra l’Appennino emiliano e la pianura Padana. Per costruire il modello tridimensionale, i ricercatori hanno integrato sezioni stratigrafiche, rilievi sul campo, dati piezometrici e trivellazioni fino a 350 metri di profondità, basandosi sul database regionale dell’Emilia-Romagna.
I risultati, presentati al Congresso Nazionale Congiunto della Società Italiana di Mineralogia e Petrologia e della Società Geologica Italiana, tenutosi a Padova, delineano un quadro complesso ma estremamente utile per la gestione delle acque sotterranee. «L’analisi ha permesso di distinguere tre principali facies – prosegue Mainini –: i corpi ghiaiosi, che fungono da serbatoi ad alta conducibilità idrica; gli orizzonti fini giallo-ocracei, che rappresentano barriere parziali; e i paleosuoli rubificati, ricchi di ossidi di ferro e manganese, che agiscono come veri e propri ostacoli idraulici».
Dallo studio emerge un pattern ciclico tra corpi ghiaiosi e orizzonti fini, con variazioni significative lungo il corso del fiume: verso la pianura gli strati fini aumentano di spessore, mentre nella parte alta del bacino i corpi ghiaiosi risultano più spessi e meglio interconnessi. Proprio queste ultime aree rappresentano, secondo i ricercatori, i siti più promettenti per la ricarica controllata degli acquiferi.
La metodologia sviluppata dall’équipe di Modena e Reggio Emilia può diventare un modello operativo replicabile in altri contesti territoriali, fornendo strumenti concreti per la pianificazione di interventi idrici in chiave sostenibile. «L’obiettivo – conclude Mainini – è creare un modello geologico tridimensionale prima di pianificare un progetto di MAR, privilegiando le aree caratterizzate da un alto grado di interconnessione dei corpi acquiferi. Solo così possiamo affrontare in modo efficace le sfide poste dalla siccità e dal cambiamento climatico».
